Cultura e Spettacoli

Quel Capote salottiero con il dono del ritratto

Di lui Norman Mailer disse: «Il vero Capote? Uno stupido: aveva un ottimo orecchio, ma la mente non era un granché. Non so se gli sia mai successo per un minuto di essere colpito da una grande idea». Non lasciava indifferenti, l'autore di Colazione da Tiffany e alla sua morte, il 25 agosto 1984 a Bel Air, per overdose, furono in molti, tra i ricchi e famosi di qua e di là dell'Oceano, a tirare un sospiro di sollievo: se n’era andato non solo uno scrittore famoso, ma anche e soprattutto una lingua affilatissima e una penna capace di fare a pezzi, sulle pagine del New Yorker o di qualche altra rivista radical-chic. Nato come Truman Streckfus Persons nel 1924 a New Orleans, cresce con i nonni in Alabama, nel cuore di quel Sud degli Stati Uniti che diventerà materia delle sue prime prove narrative. Come Tennessee Williams, Flannery O' Connor e altri, Capote esordisce, sulle orme di Faulkner, narrando storie del Sud razzista, nostalgico della Confederazione, impregnato di umori morbosi, secondo i canoni di quella Southern Gothic Novelist che comincia a fare breccia nelle librerie e sui palcoscenici Usa. Omosessuale come Williams, portato all’eccesso e all’irriverenza, viaggia continuamente, in cerca di saperi, incontri, materiale da plasmare. I primi tempi sono pieni di rifiuti e umiliazioni che gli lasceranno la sensazione di essere un irregolare come i suoi personaggi. Con gli anni diventa celebre: amabilmente salottiero, presuntuoso e arrogante, Capote è imprescindibile in qualunque circolo mondano-letterario che si rispetti, a New York come a Parigi come a Venezia. Non ama Hollywood - «È scientifico: per ogni anno che passi a Hollywood, perdi due punti nel tuo quoziente di intelligenza» - ma vende bene i suoi libri agli Studios e non disdegna l'attività di sceneggiatore: negli anni Cinquanta scrive per Huston (Il tesoro dell'Africa) e De Sica (Stazione Termini) a 1500 dollari la settimana. Nel 1966 aveva raggiunto il vertice della propria arte e del successo con A sangue freddo (diventato film l'anno dopo), registrazione «oggettiva» di un fatto avvenuto nel cuore del Midwest agricolo: lo sterminio brutale e gratuito di una famiglia da parte di due psicopatici. Il libro, desunto anche alla frequentazione in carcere dei due assassini, inaugurò la forma del romanzo-documento.

Negli ultimi anni, spesi tra mondanità, droga e alcol, scrisse Musica per camaleonti (anch'esso a cavallo tra narrativa, reportage e ritratti: celebre quello di Marilyn Monroe) pubblicato nel 1980 e Preghiere esaudite, uscito postumo nel 1986.

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