In quel giornalino c’è già un po’ di Virginia Woolf

Pubblicati 69 numeri dello «Hyde Park Gate News» con le prime prose della scrittrice ancora bambina. Fatti, personaggi e la cronaca di una gita al faro...

Al fascino e allo stringimento di cuore che sempre si provano di fronte a tutto ciò che riguarda Virginia Woolf, vita e opera, s’aggiunge un senso di peculiare tenerezza nel pensarla bambina. Al tempo della sua nascita, il padre Sir Leslie Stephen, storico e critico letterario, era già un mostro sacro del mondo intellettuale inglese. Vedovo di Minny Thackeray, figlia dello scrittore, aveva sposato Julia vedova Duckworth, che aveva già tre figli e ne diede altri quattro al nuovo marito, diventando la madre straordinaria di tutti, nella casa stretta e alta con giardino sul retro del 22 Hyde Park Gate, a Kensington. Si può immaginare quale porto di mare fosse questo indirizzo, per parenti, amici, letterati e personaggi illustri, e quali suggestioni e stimoli i figli, specie quelli del secondo matrimonio, potessero ricevere in un simile ambiente. Tra il 1891 e il 1895, Vanessa, Thoby e Virginia Stephen (il fratellino più piccolo Adrian sembra esserne lasciato fuori) collaborarono a scrivere un loro giornale settimanale, ad uso della famiglia. Era lo Hyde Park Gate News, i cui numeri sopravvissuti, 69, conservati per tanti anni da Vanessa e, alla sua morte, affidati dal figlio di lei Quentin Bell all’Università del Sussex, furono acquisiti dalla British Library, e ora sono pubblicati da una nuova e attenta casa editrice londinese, Hesperus.
Virginia aveva nove anni nel 1891, tredici nel 1895. I lettori potranno avere, in questa raccolta per la prima volta disponibile al grande pubblico, la testimonianza di prima mano che Virginia offre della propria infanzia, quell’infanzia così spesso rievocata e indagata nei suoi successivi diari e nei romanzi. E ciò che appare straordinario, in queste piccole descrizioni di eventi e di personaggi, è qualcosa che va al di là della naturale maturazione, è un’evoluzione e germinatura di linguaggio e di atmosfere, l’inizio della sperimentazione con la parola che sarebbe stata la cifra della futura scrittrice. Virginia era apparsa subito come una bambina «diversa», aveva imparato tardi a parlare, e la parola, quando venne, fu il terreno sul quale lavorare, diventò allora e poi per tutta la vita la sua arma preferita. «La signorina Millicent Vaughan (cugina, ndr) ha onorato la famiglia Stephen della sua compagnia. La signorina Vaughan, da sorella affezionata qual è, è stata in Canada a trovare la sorella... Speriamo che non sia tormentata dai morsi dell’invidia nel vedere sua sorella così serenamente sistemata con suo marito, mentre lei sta girando tutto il mondo in cerca di un partito. Ma qui stiamo divagando, come fanno tanti vecchi. È arrivata lunedì, ed è tuttora al 22 di Hyde Park Gate». Questa vena, tra l’ironico e il caustico, è di Virginia non ancora undicenne. Essa fa anche i primi tentativi di narrativa, ma non sono divertenti come gli articoli di notizie, come la descrizione di una domestica o di un visitatore. Ma fa impressione trovarvi fonti d’eco, come il fatto registrato a Talland House, la casa di vacanze in Cornovaglia, un fatto che con le sue riverberazioni arriverà fino a Gita al faro (1927): «Sabato mattina, Master Hilary Hunt e Master Basil Smith si sono recati a Talland House per invitare Master Thoby e Miss Virginia Stephen ad accompagnarli al faro, poiché Freeman il barcaiolo aveva detto che la marea e il vento erano l’ideale per recarsi laggiù... Arrivando al faro, Miss Virginia Stephen ha visto sul faro un piccolo e malconcio uccello che si ergeva su una zampa sola.

Mrs Hunt ha chiamato l’uomo chiedendogli come fosse arrivato lì. Lui disse che vi era stato scaraventato dal vento, e poi loro hanno visto che gli occhi gli erano schizzati fuori. Sulla via del ritorno Master Basil Smith ha “vomitato come un dannato”».

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