Quel governo di legislatura sogno impossibile di Prodi

Federico Guiglia

Dei sessantuno governi che l’Italia ha avuto nei suoi sessantuno anni di vita istituzionale dal dopoguerra - sì: la media è proprio di un esecutivo all’anno - nessuno ha coronato il sogno espresso di recente da Romano Prodi tra le difficoltà della Finanziaria e le polemiche sulla Campania: purtroppo per lui non esiste il precedente dell’agognato «governo di legislatura». Né nella prima Repubblica né nella seconda e pur bipolare dal ’94 in poi.
Neppure l’altro esecutivo guidato dal Professore nel ’96 e meno traballante dell’attuale per numeri in Parlamento, superò gli 876 giorni d’ardua esistenza, restando alle spalle sia del secondo dei tre governi-Berlusconi (1.414 giorni), sia del primo dei due esecutivi presieduti da Bettino Craxi nell’83; e che toccò i 1083 giorni di sorprendente durata per la tradizione politica di quegli anni e decenni, quando i governi potevano cadere anche dopo nove giorni dall’insediamento (presidente Andreotti nel ‘72). E con delle crisi che potevano durare addirittura 126 giorni: ancora un governo-Andreotti nel ’79. Insomma, la pia illusione per cui l’attuale esecutivo potrebbe sperare di raggiungere un primato mai visto, restando in vigoroso vigore fino al 2011, non ha soltanto delle robuste controindicazioni politiche, tanto è ridotto il margine della maggioranza al Senato; ha pure e perfino la statistica contro di sé. E guai a snobbarla, la statistica.
Del resto, i numeri non sono un capriccio del caso, ma rispecchiano la solidità delle coalizioni che si sono presentate al giudizio degli elettori, e rivelano il ruolo attribuito al presidente del Consiglio; due elementi decisivi per durare, e che mancano, entrambi, al Professore sognatore. A guardare le caratteristiche dei governi più longevi della Repubblica che hanno preceduto il Prodi di allora, il confronto col Prodi di adesso parla da sé. Le maggioranze di Berlusconi e di Craxi si reggevano tutte e due, e pur in momenti così diversi tra loro e a distanza di vent’anni l’una dall’altra, su una coalizione di quattro e cinque partiti rispettivamente: esattamente la metà di quella ben più numerosa e frastagliata che oggi sostiene Prodi. Non solo. Sia il pentapartito dell’83 che il centrodestra del 2001 mostravano una coesione imparagonabile con quella dell’attuale centrosinistra; coesione che finiva per riconoscere il ruolo decisionale del presidente del Consiglio. «Decisionista» fu infatti la definizione che più ricorreva a proposito del presidente Craxi. E proprio in quegli anni a palazzo Chigi si sviluppava una cultura giuridica che avrebbe portato a elaborare il concetto di «indirizzo e coordinamento» da parte della presidenza del Consiglio. Una carta studiata per far valere l’«interesse nazionale», e che la Corte Costituzionale avrebbe poi avallato, chiedendo che fosse esercitata con una legge o facendo comunque riferimento a una legge dello Stato.
Al contrario, sarebbe oggi impresa difficile sostenere che l’attuale presidente del Consiglio, dovendo rappresentare esigenze tanto differenti e radicali all’interno della sua coalizione, possa aspirare a un ruolo decisionale, dopo quasi sei mesi di conclamate incertezze.
Dunque, il «governo di legislatura» è una chimera non già per la mancanza di un’ampia maggioranza parlamentare che ne assicuri il cammino né per l’impossibilità di approvare riforme vere e condivise dall’intero centrosinistra che ne garantirebbero l’unità. I cinque anni di governo sono un’illusione perché non esistono i presupposti minimi ed essenziali per poter navigare nell’oceano della quindicesima legislatura senza rischiare di finire sugli scogli, al risveglio del mattino.
f.

guiglia@tiscali.it

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