Cultura e Spettacoli

«Per quel momento non si è mai pronti»

New York, domenica 23 ottobre 2005

Rino,
Marco ha chiamato. Me l’ha detto, e ne sono rimasta molto turbata. Oh, lo so che quel dolore miliardi di esseri umani lo hanno sofferto prima di te. Di noi. Lo so che a miliardi ne soffriranno dopo di te, di noi: che questa è la Legge della vita. Lo so che la tua certezza di rivederla ti aiuta ad accettare una realtà che io non accetto. E infine so che ti ci stavi preparando. (Ne parlammo due telefonate fa, ricordi? Non so perché ti chiesi di lei, e tu rispondesti: «Se l’avessi persa all’improvviso, non avrei resistito. Quindi meglio che se ne vada così, piano piano mi abitua all’idea»). Però so anche che quando il momento arriva, non si è pronti lo stesso.
Io non lo ero, la notte in cui mia madre se ne andò. Nonostante tutta la morte che avevo visto alle guerre, tutti i giovani che mi erano morti accanto al fronte, nonostante Alekos che un anno prima era stato ammazzato mentre correvo ad Atene per cercar di salvarlo, non ero pronta. E sebbene fossi andata a vivere nella casa di campagna per starle vicino, sebbene mi fossi «abituata all’idea», ne soffrii in maniera lancinante. Unico conforto, il fatto che la sera precedente fossi riuscita a procurarle un prete...
... «Prete» aveva farfugliato con occhi imploranti verso mezzanotte. Così ero corsa subito fuori senza neanche infilarmi un cappotto. Era inverno e nevicava. Nel buio avevo raggiunto la chiesa del villaggio e chiamato un certo Don Gori che non voleva venire. «Domani, domani, ora-è-troppo-tardi-e-fa-freddo». A spintoni, parolacce, minacce, «se-non-mi-segue-seduta-stante-io-la-ammazzo», lo avevo costretto venire con la stola viola e il resto. E, a vederlo entrare, gli occhi imploranti s’erano illuminati d’una gioia insensata. Sublime e insensata. Oltretutto lei lo detestava perché per celebrare la messa nella nostra cappella del giardino esigeva ogni volta ventimila lire. E perché durante la Messa prendeva a calci York, il suo yorkshire-terrier, che si metteva ai piedi dell’altare. Poi, da un tipo simile assolta dai peccati che non aveva mai commesso, s’era appisolata con un sorriso felice e... Ho chiesto a Marco: «A che ora se n’è andata?». «Alle tre del mattino» ha risposto un po’ sorpreso dalla domanda. E ho avuto un brivido. Anche mia madre se ne andò alle tre del mattino.
Non ho mai visto un ritratto della tua. Nel living-room vi sono soltanto fotografie di prelati. Ma la vedo in due immagini che en-passant me ne hai dato. La prima è quella d’una mamma alla quale un bambino di sette anni dice inesorabile «Io voglio diventare prete». La seconda è quella d’una signora che si inchina dinanzi al proprio figlio vestito da vescovo e gli bacia l’anello. Dunque la mano. Bè, al tuo dolore dico: non è vissuta invano quella mamma, quella signora. Perché ha messo al mondo te. E a costo di scandalizzarti, indignarti, spaventarti, (aiuto-aiuto, Graham-chiama-la-polizia-porta-l’acqua-santa-ché-bisogna-fare-un-esorcismo), questa volta ti abbraccio teneramente.

Anzi con tutta l’anima.

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