Quel paradosso sui boss Graviano: «padroni d’Italia» ma subito arrestati

ASSURDO Il pentito ha detto che si erano accordati con i politici. Ma finirono in manette subito dopo

Gian Marco ChiocciMariateresa Conti

Avevano – Gaspare Spatuzza dixit – «il Paese nelle mani», per gentile intercessione di Silvio Berlusconi «quello del Canale 5» e del «compaesano» Dell’Utri. Eppure, appena qualche settimana dopo, Giuseppe e Filippo Graviano, pur avendo il Paese in mano, non riuscirono nemmeno a evitare di essere arrestati a Milano il 27 gennaio del ’94. Decisamente poco, per i padroni d’Italia associati a gente (Berlusconi e Dell’Utri) che ancora doveva concorrere per aspirare a vincere le elezioni di aprile ’94. Decisamente improbabile la storia dell’incontro al bar Doney, a Roma, con un Giuseppe Graviano euforico («aveva un atteggiamento gioioso - ha raccontato ’u tignusu - come chi ha vinto all’enalotto o ha avuto un figlio») per l’accordo raggiunto con il Cavaliere e il senatore Pdl (che ancora non erano nemmeno parlamentari) «che non erano come quei quattro crasti (cornuti, ndr) socialisti che avevano preso i voti dell’88 e ’89 e poi ci avevano fatto la guerra. Grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo praticamente il Paese nelle mani».
Crolla come un castello di carta il clou del racconto del pentito Gaspare Spatuzza, quello in cui chiama in causa il premier e il senatore Pdl. E non c’è bisogno di essere investigatori per fare una banale considerazione: il presunto incontro a Roma, secondo il pentito, è a gennaio del ’94; e l’arresto a Milano dei Graviano cade subito dopo, il 27 gennaio. Delle due l’una. O Giuseppe Graviano mentiva, prova ne è l’arresto una manciata di giorni dopo insieme col fratello Filippo; oppure Giuseppe Graviano - come traspare dai suoi interrogatori e dai confronti con Spatuzza - non ha mai detto al suo soldato, «affiliato» solo nel 1995, più di un anno dopo – di avere concluso alcuna trattativa tra Cosa nostra e la politica.
Già, la trattativa. Qui Spatuzza rimette tutto in discussione. Quante trattative aperte aveva Cosa nostra? E come è possibile che boss di fazioni avverse («ala stragista» e «ala trattativista») scendessero a patti, a nome di tutta l’organizzazione, con referenti politici diversi che si sono dati il cambio negli anni? Spatuzza, nel suo «debutto» d’aula torinese, ha parlato di una sorta di concertazione ininterrotta tra Cosa nostra e la politica. Una trattativa che prenderebbe le mosse addirittura tra la fine del ’91 e l’inizio del ’92 («preparammo l’esplosivo per la strage di Borsellino ancora prima della strage di Capaci») e che continuerebbe sino al 2004. Rappresentanti dell’organizzazione mafiosa, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Ma nel ’92, lo sta ampiamente mettendo a verbale il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo Ciancimino, c’era un’altra trattativa: quella dello Stato, tramite i carabinieri del Ros, con Ciancimino senior, che a propria volta aveva come referente Bernardo Provenzano, uno che con i Graviano non ci azzeccava niente.
E allora, o si crede a Spatuzza o si crede a Ciancimino. Ma se poi ci mettiamo dentro altri pentiti, tipo quel Brusca che della «trattativa» attraverso Mangano offre una ulteriore terza via, la scelta si fa complicata. Persino Repubblica, che sulla asserita trattativa fra Stato e antistato mafioso ha sempre sollevato accuse gravissime ai carabinieri del Ros, ieri s’è arresa all’evidenza. Non sa più che pensare, indecisa se mollare Ciancimino, che pure parla di Berlusconi e Dell’Utri, oppure affidarsi totalmente a Spatuzza, che parla di Berlusconi e Dell’Utri. «Spatuzza rovescia convinzioni antiche di 17 anni», confessa Repubblica. Perché il pentito di Brancaccio mette insieme la morte di Falcone e quella di Borsellino, con la seconda progettata addirittura prima di Capaci, dunque annulla quelle fantasie mediatico-giudiziarie che starebbero dietro alla misteriosa «accelerazione», per motivi politici, della seconda strage. «L’omogeneità del progetto mafioso – scrive Repubblica – liquida - meglio, attenua - l’oscura controversia intorno alla “trattativa” avviata dal Ros con Vito Ciancimino. Scioglie l’ipotesi che Borsellino sia morto perché, consapevole della trattativa dello Stato con i corleonesi, vi si era opposto». Insomma, sempre leggendo Repubblica, «disegna un’altra scena»: quella della trattativa che sarebbe ancora in corso perché non si è mai interrotta dal 1989, anno in cui Cosa nostra appoggiò quei crasti di socialisti ingrati.
Eppure Repubblica dovrà fare i conti con le convinzioni della procura di Palermo ancorata all’esclusiva e unica «trattativa» del Ros con Ciancimino: delle considerazioni di Spatuzza dovrà per forza tenere conto il pm titolare delle indagini palermitane, Nino Di Matteo, a cui Gaspare u’ tignuso ha disintegrato la sua inchiesta su via d’Amelio fondata sulle farneticazioni del pentito Scarantino. Palermo crede essenzialmente a Ciancimino, Caltanissetta e Firenze credono decisamente a Spatuzza. Il rebus della «trattativa», sempre che vi sia stata, è diventato un incubo. È stato detto tutto e il contrario di tutto, e oggi i magistrati si ritrovano a inseguire Dell’Utri e Berlusconi cercando di districare fra tre trattative: quella «pre-stragi», dove il senatore del Pdl viene identificato come il politico di riferimento che tratta in proprio con Riina come portavoce di un mondo imprenditoriale allo sbando dopo Tangentopoli e l’inchiesta mafia-appalti; quella «dentro le stragi», che si vuole avviata autonomamente dal Ros in combutta con Ciancimino e il boss Provenzano, per conto di un Dell’Utri che chiede alla mafia di spianare la strada a Berlusconi; quella «stragista vera e propria», che a detta di Spatuzza, grazie ai Graviano che trattano direttamente con Dell’Utri, è un tutt’uno con Forza Italia da cui ci si aspetta riconoscenza e vantaggi.

Seguendo questi tortuosi «pensamenti» giudiziari Dell’Utri e Berlusconi sarebbero riusciti nell’impresa senza precedenti di trattare prima con l’anima «stragista» di Cosa nostra (Riina, Bagarella, Brusca, Graviano) poi con quella avversa, «trattativista» (Provenzano, Aglieri, ecc.) per ripensarci e tornare a interloquire con gli «stragisti» nemici dei «trattativisti». Una follia.

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