Quel sapore agrodolce del feuilleton

Quella che in questa pagina offriamo al lettore italiano, quale omaggio per i 150 anni dalla nascita di Anton Pavlovic Cechov (Taganrog, 29 gennaio 1860 - Badenweiler, 15 luglio 1904), è la prima versione del noto racconto Il grasso e il magro pubblicato sulla rivista Oskolki (Schegge) nel 1883 a firma A. Cechonte, uno degli pseudonimi del grande scrittore russo. Anche se un controllo scrupoloso dell’immensa bibliografia italiana di Cechov è praticamente impossibile, si tratta con tutta probabilità di un inedito nella nostra lingua. Il fatto è che, appena tre anni dopo, Cechov ne presentò una nuova versione che da allora venne inclusa in tutte le raccolte dei racconti in lingua originale e in traduzione. Questa prima versione è invece rimasta seppellita tra le varianti nell’appendice dell’edizione accademica delle opere di Cechov.
Nel 1883 colui che viene considerato il maestro russo della short story - oltre che un classico del teatro mondiale - aveva soltanto ventitré anni e scriveva raccontini in stile feuilleton, pagato un tanto a riga. Ciò non gli impediva, evidentemente, di comporre miniature che sono oggi considerate degli assoluti capolavori letterari.
Nella versione del 1886, Cechov abbandona il centro compositivo di questa prima , il quiproquo che conduce «il magro» diritto verso la catastrofe. La distanza tra i due personaggi verrà tracciata solo dalla differenza di grado nella Tabella dei Ranghi a cui l’intera Russia era asservita fin nel modo di rivolgersi gli uni agli altri («Vostra eccellenza» è, appunto, il titolo che spettava a coloro che occupavano i ranghi terzo e quarto della Tabella). Persa la sua caratteristica di aneddoto, la storiella così elaborata metterà a nudo l’insensatezza dei rapporti sociali nella Russia zarista. Analogamente, Cechov toglierà altri piccoli particolari tipici del feuilleton, come quel Dipartimento «Presentazioni e refusi», che vendica a suo modo i tanti modesti impiegati che popolano la letteratura russa fin dai tempi di Gogol’.
E tuttavia, come noterà il lettore, questa prima versione ha tuttora una sua dignità e autonomia, sviluppa cioè la storia in una direzione non meno significativa dell’altra.

Il finale con la famiglia del «magro» «piacevolmente sbalordita» della carriera fatta dal «grasso», appena definito «porco capufficio», come pure lo scenario della futura convivenza tra i due protagonisti definitivamente compromessa dal passo falso imprudentemente compiuto dal «magro» rendono questa non meno agrodolce dell’altra.

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