Politica

Quel siluro al Professore

C’è un momento nel Gattopardo di Luchino Visconti (e nel romanzo di Tomasi di Lampedusa) in cui il principe di Salina va a caccia di conigli con il suo mezzadro dopo aver partecipato al referendum per l’annessione della Sicilia al regno di Sardegna. Il mezzadro, l’attore francese Serge Reggiani, urla e strepita che lui ha votato no, ma che anche il suo no è stato fatto diventare un sì, e sbatte il cappello in terra finché il principe gli mette le mani alla gola e gli spiega ringhiando la famosa regola secondo cui occorre che tutto cambi affinché tutto resti come prima.
Domenica i concittadini di Reggiani hanno detto no alla Costituzione europea e i no si sono visti tutti, senza trucchi. Ma stavolta il sospetto dei francesi è che tutto possa cambiare in peggio. È un sospetto pessimista che non condividiamo per intero, ma fa riflettere e ci fa anche rammaricare per non aver avuto anche noi lo straordinario privilegio di votare la nuova Costituzione, invece di riceverla incartata e infiocchettata, ma misteriosa. Per la vittoria del No francese in Italia hanno gioito in molti e il partito degli esultanti ha messo insieme una compagnia molto eterogenea. Hanno gioito tutti quelli che avvertono l’Europa saccente dei tecnocrati come un corpo estraneo, nell’assenza totale di una patria comune amata e condivisa. Hanno gioito coloro che odiano tutto ciò che si chiama politically correct (il nome dell’ipocrisia moderna) somministrato a suon di nerbate burocratiche attraverso formule, cliché e luoghi comuni. Ha gioito per invidia chi avrebbe voluto essere al posto dei francesi e semplicemente votare. I francesi hanno sempre avuto e sempre avranno la caratteristica di essere divisi in due metà quasi uguali. Metà da una parte e metà dall’altra. E votano e vincono sempre con una vittoria risicata.
In compenso prima di votare dibattono che è un piacere: alla televisione francese il dibattito è uno spettacolo di intelligenza e di passione, un duello sempre elegante e furente ad armi pari, fantastico. Quanto meno, i francesi sanno che cosa hanno bocciato. Da noi calma piatta: la Costituzione europea è un Ufo misterioso e nessuno reclama il referendum, mentre invece si reclama il referendum per le riforme costituzionali che il Parlamento ha approvato finora, e che sono state fatte dagli eletti del popolo italiano, non dai marziani o dai burocrati di Bruxelles. Ma l’eterogeneità ha messo in mostra dell’altro: si sono trovati a gioire una parte della destra e l’estrema sinistra. L’estrema sinistra sostiene che la Costituzione europea è il libro nero del liberismo selvaggio e nemico dei lavoratori, colpevole di andare nella direzione della modernità e della società occidentale. L’estrema sinistra sbaglia e fa cagnara, ma il dato importante è che quella stessa estrema sinistra conosce e riconosce come principale sconfitto nella domenica francese il professor Romano Prodi, ex commissario europeo inviso agli inglesi e sopportato con sufficienza da tutti gli altri. Prodi, si scopre adesso seguendo l’ultimo ciclone polemico che sconquassa la sinistra (altro che le «vele al vento» di cui poeteggia Piero Fassino), è considerato il responsabile dell’impoverimento degli italiani.
E qui siamo alla comica finale. La sinistra dice adesso le cose che la destra e i liberali hanno sempre detto, e lo fa mentre allo stesso tempo acclama Prodi come suo vate, duce, grande timoniere ed esperto di sedute spiritiche. Anche i liberali come noi pensano che Prodi sia uno sconfitto dal popolo francese perché è stata sconfitta la sua idea di Europa anonima, impicciona, pletorica, costosissima. Il nostro giudizio sul suo conto, sia come tecnocrate europeo che come primo ministro pendolare, è pessimo. Ma quel che non si capisce è dove vada a parare l’antiprodismo improvviso e imprevisto che serpeggia da ieri nella sinistra dopo il No francese: questo ribollire di rancori verso l’uomo che, al tempo stesso, viene indicato come il loro leader e la causa della rovina dei lavoratori. E infatti ecco Fausto Bertinotti sostenere seriamente che il No francese è una sconfitta di Prodi, ma che sarebbe «rocambolesco» dedurne un indebolimento. Siamo nella metafisica, fuori dalla logica. Dunque, nella politica nazionale registriamo una nuova sconfitta di Prodi mentre Rutelli converge al centro e sembra prepararsi a mollare la sinistra. Sconfitto nella sua coalizione, impoverito nella leadership, offuscato dal voto francese, l’uomo che si propone come nuovo (vecchio) premier italiano raggiunge adesso il momento di massima insicurezza. Prodi ha ricevuto dalla Francia un siluro che lo ha colpito sotto la linea di galleggiamento e vedremo chi potrà riportarlo a galla.
p.

guzzanti@mclink.it

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