La nebbia era fitta e plumbea e certe notti si guidava a tentoni lungo il Naviglio Grande, andando oltre piazzale Negrelli e il capolinea del tram 19. Sembrava di viaggiare verso il nulla e bisognava stare attenti a non mancare la svolta a sinistra, improvvisa e non segnalata, che portava nel cortile del Capolinea, il più celebre jazz club italiano. Quanti appassionati si sono formati lì, e ieri il locale in qualche modo è rinato nella rassegna SummerNite grazie al film-documentario Al Capolinea. Quando a Milano c’era il jazz , della giovane regista Marianna Cattaneo (con la collaborazione del clarinettista Alfredo Ferrario), che in autunno verrò presentato in tutta Italia, in Svizzera e al Milano Film Festival . Quanti ricordi in questo film, quante immagini di un capannone creato nel 1969 (ma ufficialmente nacque nel ’68) dal mitico Giorgio Vanni, dalla moglie e dalle tre figlie, per portare il grande jazz alla periferia dell’Impero. Lì arrivammo per la prima volta nel 1971, ragazzini svezzati a ritmo di jazz e di vino e bruschette (all’epoca un robusto piatto di bruschetta con una bottiglia di Pinot costava meno di mille lire) scoprendo un mondo diverso, una Milano che si trasformava magicamente in un club di New York. Anzi, in una scenadel film il batterista Ellade Bandini dice: «Al Village Vanguard mi chiesero “tutto ok al Capolinea?”, “come sta Vanni?”e se uno ti fa domande così ti chiedi cosa vai in America a fare, il Vanguard è qui e si mangia anche meglio». È la storia del locale raccontata dai musicisti (da Lino Patruno a Luigi Bonafede) con immagini di concerti e di quelle jam session che ogni tanto a tarda notte infiammavano il pubblico (una notte si incontrarono giganti della batteria come Elvin Jones e Tullio De Piscopo si fece le ossa suonando con tutti i grandi). Gli italiani che contano ci hanno suonato tutti, da Franco Cerri a Enrico Rava, ma l’elenco delle star straniere è impressionante; lì abbiamo avuto la fortuna di ascoltare lo sconvolto (ma quanto immensamente lirico) Chet Baker (il suo sodale Gerry Mulligan ha bevuto parecchie volte con noi) che un agosto bollente e solitario abitò in casa di Vanni, le invenzioni bop di Dizzy Gillespie, la voce bluesy di Betty Carter, Lee Konitz, la tradizione orchestrale di Woody Herman e Lione Hampton e al contrario le audaci esplorazioni di Horace Silver e Charlie Haden. Più facile dire chi non c’è stato,chi non ha portato un po’ della sua musica e della sua cultura (perché di cultura popolare si tratta) un po’ di divertimento a volte sopra le righe (non eran molti quelli che uscivano sobri dal Capolinea) in un melting pot che univa - come raramente è accaduto in quegli anni di contrapposizione - giovani e anziani, industriali (ora si chiamano manager) e operai, perfino sanbabilini e «compagni» che tra un bicchiere e l’altro e tra un blues o una ballad deponevano l’ascia di guerra. Questo «Alice nel paese delle meraviglie» del jazz è durato, con alti e bassi, fino al 1999, finchè le figlie di Vanni (dopo la sua scomparsa) insieme al fidato Stefano, hanno tenuto botta. Quando il locale chiuse, nel 1999, si era completamente trasformato. Da un lato era solo ristorante e non si poteva ascoltare la musica;dall’altro ci si dedicava solo al jazz senza indulgere ai piaceri della cucina fatta in casa. La chiusura definitiva - con la promessa di riaprire purtroppo mai attuata - ha lasciato una nostalgia incolambile negli appassionati di jazz.
Certo, oggi c’è il Blue Note a coccolare le notti degli appassionati, ma senza il fascino da pionieri del Capolinea forse non saremmo mai arrivati ad un minimo di cultura jazz, che peraltro da noi è acora molto indietro rispetto a tanti paesi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.