Non sono i ragazzi dei centri sociali a preoccupare. Loro, si sa, sono contro «a prescindere»: se cè una sigla da prendere a sassate - sia il G8, sia il Wto, sia stavolta la Tav - eccoli pronti in prima fila. Quasi, non fanno più notizia. Ma a guardare la fiaccolata di sabato scorso a Susa, quando per le strade hanno sfilato più di quindicimila pacifici valligiani, mamme e papà coi bambini, sacerdoti e studenti coi capelli corti, in ordine, sindaci con la fascia tricolore, anziani, gente comune insomma, cè da riflettere. Ed avere paura. Paura perché se lItalia sono loro, evidentemente lItalia è un Paese che vuole morire.
Mentre il mondo si apre al miliardo e mezzo di cinesi, con tutti i rischi ma anche le opportunità che questo comporta, lItalietta delle mille comunità protette si chiude a riccio nel tentativo patetico di difendersi così dallo tsunami in arrivo. Leggiamo insieme quello che hanno dichiarato i valligiani a Repubblica, dal sacerdote che definisce lalta velocità un «atto inumano», al pensionato sessantenne ex bancario timoroso che scavando la galleria si trovi lamianto, «ma se anche sotto la montagna ci fosse la nutella, sarei contrario lo stesso», al meteorologo che parla di «atto di arroganza tecnologica, simbolo di una voracità ambientale infinita».
Sono queste frasi, non quelle scontate di Bertinotti e Pecoraro Scanio, a farci provare sgomento. LItalia che dice «no» ai treni ad alta velocità è la stessa Italia che si lamenta per larretratezza del sistema ferroviario? Chissà, dipende dai giorni, dallumore. LItalia che la domenica ecologica pedala sulla bici nelle vie deserte delle città è la stessa che alza le barricate al treno, per tenersi al suo posto le code di automobili? LItalia che combatte il ponte di Messina è la stessa che protesta per i ritardi nellammodernamento dellautostrada Salerno-Reggio Calabria? LItalia che ha per anni reclamato posti di lavoro è la stessa che oggi si batte contro la legge Biagi, chiamandola «legge 30» perché quella riforma è costata un tributo di sangue?
Esiste, questo è certo, unItalia che non vuole progredire: il problema è capire se questa Italia che si culla in un benessere ereditato dal fervore del Dopoguerra, credendolo infinito nel tempo, sia maggioritaria. La brava gente della Val di Susa rappresenta se stessa, oppure il Paese? Questa è la domanda fondamentale, che bisogna affrontare anche a costo di scoprire che la risposta potrebbe trasformarsi in incubo. Lannuario statistico italiano dellIstat ci ha fornito, proprio la scorsa settimana, un quadro contraddittorio del Paese: i cittadini si sentono più poveri e scontenti, ma allo stesso tempo i fatti dicono che la vita media si allunga ancora e che crescono i depositi bancari. Il rapporto fra persone con più di 65 anni e ragazzi sotto i quindici anni è di quasi 138 a 100, e i matrimoni diminuiscono: nel 2004 sono stati 10mila in meno del 2003. I giovani in età da farsi una famiglia propria vivono invece coi genitori anziani, tre italiani su quattro pranzano seduti a tavola nelle loro case. Il resto del mondo è rock, noi siamo lenti.
A protestare contro il treno ad alta velocità è questa Italia slow, legata a tradizioni che sconfinano nel privilegio. È lItalia prima nel consumo di telefoni cellulari, ma priva della tecnologia per produrli. È lItalia della televisione, incapace di fabbricare un televisore. È lItalia dei viaggi irrinunciabili a Sharm, nelle Maldive o nei luoghi di villeggiatura più lontani, ma ostile alla costruzione di porticcioli turistici lungo le nostre splendide coste. È lItalia dei giovani che a venticinque anni, anziché progettare il loro futuro di lavoro, fanno i calcoli per la pensione.
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