Se dovesse parlare del suo amico Giuseppe Ciuro in uno dei suoi libri, o tracciarne il profilo durante le sue «requisitorie» ad Annozero, Marco Travaglio dovrebbe dire, citando la sentenza dei giudici della corte dAppello di Palermo: «Una figura estremamente compromessa col sistema criminale». Sì, perché lex maresciallo della Guardia di Finanza in forza alla Dia, ex uomo-ombra e braccio destro dal punto di vista investigativo di uno dei pm di punta della Procura di Palermo, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, secondo i magistrati che lo hanno giudicato per due volte - in primo grado e poi in appello - è colpevole di favoreggiamento.
Favoreggiamento semplice - laccusa iniziale, concorso esterno in associazione mafiosa è caduta - ma non favoreggiamento qualunque, visto che lex sottufficiale i suoi favori, sotto forma di preziose informazioni sulle indagini antimafia in corso, li avrebbe dispensati a Michele Aiello, imprenditore palermitano considerato molto vicino a Bernardo Provenzano. Un imprenditore a propria volta condannato anche lui due volte, in primo grado e in appello, nel cosiddetto processo sulle talpe della Dda. Unamicizia diventata decisamente scomoda per Travaglio, quella con Ciuro, da quando Giuseppe - anzi, Pippo come lo chiamavano gli amici - si è trasformato da braccio destro del pm Ingroia in talpa a servizio di esponenti di Cosa nostra. Era il 2003, 5 novembre, pochi mesi dopo la famosa vacanza siciliana di Travaglio contestata da Repubblica.
Quella conoscenza scomoda che lo manda in bestia
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