Quella via dei Fori lunga millenni

PRIMO NOME Inizialmente alla strada fu dato il nome di via dei Monti perché collegava la capitale ai Castelli Romani

Quella via dei Fori lunga millenni

L’insegna di una salsamenteria e la tenda di un sugherificio, cupole e colonne, resti di stucchi architettonici e vasi d’uso comune. Da questa commistione e stratificazione di epoche, sacro e profano, elitario e popolare, quotidiano e solenne, negli anni Trenta del Novecento, è nata la strada - oggi via dei Fori Imperiali - che unisce piazza Venezia al Colosseo. Alla sua realizzazione, tra progetto, interventi e soprattutto demolizioni è dedicata la mostra «Via dell’Impero. Nascita di una strada», ai musei Capitolini fino al 20 settembre. Sorta di secondo capitolo del tema introdotto lo scorso anno con «L’invenzione dei Fori Imperiali», l’esposizione documenta la costruzione della via - inizialmente detta «dei Monti», perché doveva condurre ai Castelli - concepita da Mussolini come un vero e proprio monumento «orizzontale» che fosse in grado di collegare fisicamente e concettualmente la grandezza moderna di Roma, rappresentata dall’Altare della Patria, a quella antica, testimoniata dal Colosseo. Più del progetto per «rigenerare la Capitale», con quella che Ugo Ojetti in Cose viste definì «una di quelle luminose vie romane lunghe non chilometri ma millenni», a farla da padrone è il senso di nostalgia. Da un lato, quella istituzionale, per la Roma dei Cesari, testimoniata dall’intento di realizzare un’immensa area archeologica, effettuando perfino arbitrari «tagli» e demolizioni di quartieri e edifici medievali e barocchi. Dall’altro, quella popolare, per una città a misura d’uomo, fatta di vicoli rumorosi e affollati, con il vociare della gente all’ombra delle cupole, nella confusione di istante - mobile - e eternità - immobile - che è peculiarità tutta capitolina. Attraverso una selezione di foto d’epoca, commissionate dagli uffici del Governatorato di Roma per documentare lavori e scavi, e alcuni dipinti, la città scomparsa rivive vestita dalla malinconia di chi, dietro un obiettivo fotografico o una tela, osserva il «momento» consapevole del suo peso storico. Scatto dopo scatto, muro dopo muro, si racconta la demolizione del quartiere Alessandrino, iniziata nel ’31 con l’abbattimento degli edifici ai due lati del Vittoriano e conclusasi nell’aprile del ’33, quando, malgrado l’inaugurazione ufficiale sia del 28 ottobre 1932, la strada fu aperta. I bianco e nero di Filippo Reale si alternano agli scorci dipinti da Giulio Farnese e alle grafiti sanguigne di Sarino Papalia, definite nel tratto ma per paradosso quasi «evanescenti», con il colore dello sfondo che sembra prevalere sulla forma. Si prosegue con il taglio della Velia e le ricostruzioni grafiche di Giuseppe Gatteschi, esempio della duplice anima dell’archeologia, tra scienza e sentimento del passato. Grande attenzione è dedicata all’area di Villa Silvestri-Rivaldi, costruita su domus antiche. Ancora, scatti di Michele Valentino Calderisi e Cesare Faraglia, opere di Maria Barosso - suo l’acquerello che documenta il ritiramento di ossa di un elefante preistorico nei pressi del Vittoriano - Lucia Hoffmann, e Odoardo Ferretti, filmati dell’Istituto Luce. Non mancano reperti rinvenuti durante i lavori: statue, teste, inclusa una di Amazzone identificata in occasione della mostra, rilievi e affreschi. Frutto di scavi nella zona pure il fregio monumentale con scene di lotte tra dei e Gigantomachia, rinvenuto in via delle Botteghe Oscure nel ’48, forse proveniente dal Dianium, luogo di culto eretto tra Velia e Carine, in onore di Diana, figura che nelle scene ricorre più volte.

Il percorso si chiude con la «monumentalità» del restauro del tempio di Venere e Roma e alcuni grafici degli interventi realizzati da Antonio Muñoz in via dell’Impero appunto, dal muraglione di contenimento del colle della Velia sul lato di Villa Silvestri-Rivaldi alle mappe geografiche dell’espansione dei domini di Roma, collocate sul muro sottostante la basilica di Massenzio a ribadire il carattere celebrativo - ed «educativo» - della strada.

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