Politica

Ma quella foto la poteva evitare

Lo so, non dobbiamo essere schizzinosi. La Realpolitik ha esigenze alle quali s’inchinano, se costretti dalle circostanze, anche i fervidi apostoli della Moralpolitik. Un presidente Usa cui erano state rimproverate eccessive indulgenze verso i dittatorelli centroamericani così rispose: «Lo so, sono figli di puttana, ma sono i NOSTRI figli di puttana». Se nel nome dei «respingimenti», del petrolio, del gas naturale, magari della Juventus una visita in Italia del colonnello Gheddafi appariva proprio indispensabile, è bene che sia avvenuta. La maggioranza degli italiani è disposta a farsene una ragione.
Nessuno ci batte nell’essere uomini di mondo: capaci di soffocare spontanei impulsi d’ilarità quando il leader libico si presenta in una tenuta al cui confronto il costume di Radames nell’Aida è un modello di sobrietà. Le fatue e impertinenti ironie devono cedere il passo, quando l’interesse del Paese chiama, a sentimenti di ben diversa importanza e concretezza. Roma, che ne ha viste tante, non sarebbe andata al di là d’una qualche pasquinata, se la presenza di Gheddafi in visita di Stato avesse avuto solo qualche increspatura folkloristica. L’uomo è ormai accettato nei salotti buoni internazionali, è di cattivo gusto rievocare i precedenti che in tempi ormai lontani lo inserirono tra i peggiori soggetti della scena mondiale, Lockerbie è un nome sbiadito, la vicenda delle povere infermiere bulgare accusate d’avere contagiato di Aids bambini libici è nel dimenticatoio, come le espulsioni degli italiani. In definitiva se in Libia le procedure democratiche non esistono e i mezzi d’informazione inneggiano compatti al Presidente dei Presidenti africani, a noi poco ci cale.
Insomma, saremmo pronti con molta buona volontà ad associarci al tripudio delle Alte Autorità per questo evento storico, se alcuni aspetti del soggiorno gheddafiano non ci sembrassero inopportuni, troppo compiacenti, troppo zelanti nell’ossequio. Vizi di forma che, se il rapporto tra i due Paesi è così delicato e il personaggio così controverso, finiscono per diventare vizi di sostanza. È difficile chiedere discrezione a Gheddafi. Possiamo capire che il suo petto sia carico, più dei petti della Nomenklatura sovietica, di decorazioni conferitegli in memoria di sfolgoranti vittorie. Ma la foto di Omar Al Mukhtar, capo della rivolta anticoloniale, in catene e circondato da soldati italiani, se la poteva risparmiare. Saremmo stati i primi nel criticare Silvio Berlusconi se avesse rivolto al colonnello un predicozzo - peraltro meritatissimo - sui diritti umani.
Anche sugli aspetti cerimoniali riteniamo che ci sia molto da ridire, e infatti hanno avuto da ridire esponenti di ogni settore dell’arco partitico, con una concordanza d’espressioni e di argomenti che è molto significativa. Tribune che hanno un prestigio politico notevole e un prestigio storico straordinario, come il Campidoglio e l’aula del Senato (poi si è optato per un’altra sala), sono state offerte al colonnello perché vi disserti, da par suo, sui maggiori temi del momento: preceduto al Senato, in questo onore, solo da re Juan Carlos e dal segretario dell’Onu Kofi Annan. Il parco pubblico di Villa Pamphili è stato chiuso ai cittadini perché potesse trovarvi posto la tenda che Gheddafi considera l’unica degna sede per ricevere i suoi ospiti. Pretesa tipica di un potente che trasforma i suoi capricci in affari di Stato, e che era pronto a rompere le relazioni con la Svizzera per un intervento della polizia contro le intemperanze d’un dei suoi figli in quel Paese. Non vogliamo rotture, l’amicizia del colonnello è preziosa.

Ma quanto ci costa.

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