QUELLA FRAGILE

Le iniziative di Sergio Cofferati da sindaco di Bologna su occupanti abusivi di case e clandestini lavavetri si distinguono nettamente da quelle prese dai suoi colleghi schierati come lui a sinistra. Persino Sergio Chiamparino - si consideri il suo atteggiamento dimesso verso il corteo di squatter e autonomi di sabato scorso - che pure è di formazione riformista come l'ex segretario della Cgil, non mostra analoga fermezza. E non parliamo di Walter Veltroni, che quando c'è un problema si rifugia in Africa o si perde in una notte bianca, o del distratto governatore della Campania, Antonio Bassolino.
Le scelte cofferatiane nascono anche da esigenze tattiche: il sindaco deve consolidare rapidamente un rapporto con la società bolognese perché nella sua coalizione conta solo su un tiepido sostegno dei ds che bene o male lo considerano uno straniero, e ha a che fare con una Margherita che come nel resto dell'Emilia (e come fece Romano Prodi nel 1996) per riequilibrare il potere postcomunista, ama superare il sindaco a sinistra e allearsi con Rifondazione: con particolare attenzione ai risultati che questi scavalcamenti possono produrre nei consigli d'amministrazione di ricche municipalizzate.
Cofferati, per altro verso, nella vicenda, esprime anche elementi fondamentali del suo stile e carattere politici: pragmatico sindacalista riformista, in tutti gli anni Settanta e Ottanta è sempre stato uno che sapeva fare i conti con la realtà e prendersi le proprie responsabilità. Un sindacalista che al contrario di Fausto Bertinotti sapeva chiudere un contratto.
Molti sono stupiti perché ricordano la stagione delle follie massimaliste della Cgil sotto la sua guida: gli insulti a Marco Biagi, gli scioperi a ripetizione, le gigantesche manifestazioni controriformiste, il pacifismo scatenato. Bisogna, però, comprendere com'è nato il Cofferati furioso. Nel 1996 Prodi giocava a scavalcare la Cgil a sinistra, bruciandosi peraltro le dita e cadendo da cavallo. Poi Massimo D'Alema con il suo abituale cinismo si mise a corteggiare Sergio D'Antoni sulla testa di Cofferati, facendolo infuriare. Da qui la deriva della Cgil che quando arrivò il governo di centrodestra, si trovò a dover intensificare il massimalismo per non lasciare la guida del movimento alla Cisl. I guasti combinati da Cofferati nella stagione della sua furia sono di fronte a tutti: una Cgil senza più nerbo culturale, la prevalenza di posizioni radicali nei settori chiave (dai metalmeccanici al pubblico impiego), una generazione di neoestremisti che adesso il neosindaco si trova anche alla soglia del comune che amministra. Comunque, personalmente, come l'Orlando ariostesco, Cofferati ha fatto il suo viaggio sulla luna a recuperare il senno e ora sostiene con coraggio l'unica posizione che può risolvere i problemi del disagio sociale: impedire che si formino sacche d'illegalità di massa destinate a diventare man mano, sempre più irrecuperabili.
La posizione dell'ex leader della Cgil sulle questioni in ballo è, dunque, largamente condivisibile. Ma l'insieme della vicenda (la fragilità dell'unità del centrosinistra, le opportunistiche prese di distanza della Margherita, il peso di Rifondazione) fa comprendere come la possibilità che lo schieramento guidato da Prodi assuma una determinazione alla bolognese nel confrontarsi con i temi dell'emergenza sociale, sia assai poco realistica.

D'altra parte è l'analisi della passata esperienza dal 1996 al 2001 che denuncia questa incertezza di fondo dei cosiddetti ulivisti: dagli affondamenti spietati delle navi di clandestini alle leggi piene di buchi sugli immigrati illegali.

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