Quella volta a Milano con Svampa

Quella volta a Milano con Svampa

La mostra in corso a Genova dovrebbe essere ripetuta in altre città d’Italia (almeno Milano, Roma, Napoli ed una città sarda da scegliere) in quanto Fabrizio De André è stato uno dei più importanti cantautori italiani. Ciò anche se iniziò con quella scuola di cantautori genovesi degli anni ’60 che fu un «Unicum» per la città, ma che poi fu un momento di grande notorietà per la canzone d’autore italiana. Oggi quando il pubblico over ’60 va ai concerti di Gino Paoli e Ornella Vanoni non si pone il problema se uno sia della scuola genovese e l’altra della scuola milanese ma vede i due cantanti come duo nazionale.
A proposito di De André, non vorrei che tali celebrazioni postume non servissero solo a ricordare il cantautore, bensì anche a cercare di farne quasi una «mitizzazione» che serve a tanti genovesi di oggi a cominciare da politici, amministratori, uomini di cultura (di quale orientamento... ca va sans dire) i quali pensano nel modo seguente: «Fabrizio De André è stato un grande della musica ed è nato a Genova dove ha iniziato il suo percorso (dimenticando la sua vita vissuta tra Milano e la Sardegna).
Noi siamo di Genova, grande città che ha dato i natali a Cristoforo Colombo e tanti altri illustri personaggi che, guardacaso, non hanno operato in vita (se non in parte) a Genova.
Ergo, noi siamo grandi. Questo è un atteggiamento deja vu a Genova con la mostra «Genova del saper fare» dove il visitatore usciva contento di aver visto com’era la Genova industriale del passato, dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, ma il messaggio non poteva che essere che Genova fu grande con le due guerre mondiali con il ruolo prevalente dell’industria militare; certo i video non potevano dire che il momento di «grandeur» per la città fu durante il ventennio quando qualcuno la chiamò la Dominante, ma non si può vivere di soli ricordi. E, ancora, riguardo a De André: ho sempre ascoltato i suoi dischi e poi le sue cassette fino ai recenti CD e vorrei ricordarlo com’era l’unica volta che lo incontrai a metà anni ’70 a Milano grazie a Nanni Svampa (allora da poco uscito dal complesso dei Gufi) che era il cantante del venerdì sera al locale «Ca’ Bianca» sul Naviglio Grande; a distanza di più di trent’anni non ricordo se lo incontrai sul barcone del ristorante Le Scimmie diretto dal valido ingegner Israel e tappa di validi gruppi di Jazz oppure al Ristorante «La Topaia» diretto da un valido chiavarese doc, cuoco dell’Italia Navigazione che aveva chiuso e che a tanti liguri che vivevano in Lombardia e che si recavano a cena da lui diceva sempre «Siamo in tanti qui nella nebbia… perché a Genova se uno è intelligente o ha voglia di fare come me… lo mandano via».
Di De André ricordo una stretta di mano di cortesia e il suo aspetto serioso quasi non volesse che noi (due ospiti di Svampa) gli chiedessimo qualcosa, ma preferisco ricordarlo com’era allora con quel ciuffo sulla fronte e con un viso normale e non come poi lo rividi a Genova - Fiera del Mare ed un’altra volta a Chiavari - campo sportivo in agosto con poco pubblico rispetto alle aspettative come disse Ivano Fossati presente, in quanto i liguri in agosto sono al fresco in montagna ed i turisti non sono quelli di luglio.
La bravura di De André era sempre quella di presentare nei concerti le varie fasi artistiche della sua esperienza in modo da accontentare le diverse fasce d’età del pubblico e cioè di coloro che volevano solo il primo De André e di coloro che volevano solo ascoltare le canzoni della fase matura della sua carriera
Chiudo la parte di ricordi con la mia conoscenza nei primi anni ’80 con Sergio Alemanno al locale «Il Tubo» sempre sui Navigli ed al quale chiesi qualche lume in più sui cantautori genovesi fuori Genova e del loro messaggio di un certo «amore-odio» verso la loro città e poi mi disse di ascoltare la sua canzone in dialetto genovese.
La canzone accompagnata da un chitarrista mi colpì soprattutto quando Alemanno fece una pausa e poi proseguì con un «mièli» (guardali) e a lungo l’ho ringraziato per quel suo messaggio crudo ma già allora vero… per Genova e che mi fece pensare a lungo; chissà se anche per questo suo modo di porre le cose poi Alemanno non cantò molto a Genova se non in qualche festa patronale nell’entroterra.
Secondo quanto mi disse Nanni Svampa, il quale come De André iniziò ispirandosi al cantautore francese Brassens, De André forse amava più il Genoa della città tanto che la sua vita si svolse da una certa età in poi fuori Genova. Fu un rapporto di amore-odio? E chi lo sa! Solo lui avrebbe potuto dirlo!
Credo che il giusto ricordo di De André non ci debba far scordare gli altri cantautori dal già citato Gino Paoli a Luigi Tenco (e della sua tragica fine) ma vorrei ricordare Umberto Bindi che fu oggetto di un’ostracismo assurdo verso un cantautore di valore da parte dei «sistema canoro» e dal «sistema mediatico», cui anche un De André che voleva fare l’anticonformista vero i «benpensanti» non prese mai alcuna posizione in difesa di quel suo collega; quando l’anticonformismo diventa nuovo conformismo… non serve e di questo vizio sono stati e sono testimoni anche altri cantanti sia scomparsi (Giorgio Gaber) sia viventi come Adriano Celentano in quanto si tratta di un vizio da Dna italico.
Chiudo con Bindi ricordando un suo spettacolo a Milano in un caldo luglio, quando le persone in città escono di sera per un po’ di frescura, con l’Arena piena di persone meno giovani che alle prime note de «Il nostro concerto» fecero una standing ovation che commosse Bindi, oggi sepolto nel cimitero di Bogliasco dove visse a lungo sua madre la quale divideva la sua vita tra Roma e Bogliasco.
Credo che i cantautori siano un patrimonio nazionale e non solo per il luogo in cui sono nati o dove hanno iniziato il loro percorso artistico; poi ognuno di noi avrà le sue preferenze ma certi spettacoli di Gaber al teatro Carcano, di de André al Forum d’Assago restano nella nostra memoria come dei concerti da rivedere anche se registrati; per questo credo che ci vorrebbe una Fondazione che nel nome dei famosi cantautori italiani, iniziasse con una scuola di composizione, di musica e simili, affinché tale patrimonio culturale italiano ed in particolare la canzone d’autore, possa continuare nel tempo.
Ma non farei un questione di «campanile» e cioè Genova piuttosto che Bologna o Milano piuttosto che Roma lasciando intatto il patrimonio della canzone napoletana, ma lo vedrei come un fatto nazionale e non localistico. Durante le vacanze natalizie ho visto una targa come segue: via Fabrizio De André Poeta.

Non è meglio chiamarlo per quello che era in vita e cioè un cantautore? Mi auguro che la Mostra del decennale della scomparsa di De André abbia anche dei convegni dedicati alle varie fasi della vita artistica del cantautore ma che non diventi una sola mostra autoreferenziale per Genova in quanto De André abitò e lavorò a lungo anche in altre parti d’Italia e questo non possiamo dimenticarlo.

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