Quelle donne indifese dalla violenza domestica

Sempre più frequenti gli abusi grazie a una legge che prevede solo una multa per i maltrattamenti

Quelle donne indifese dalla violenza domestica

«Noi donne siamo creature deboli e non ci offendiamo quando veniamo picchiate. Quando un uomo picchia sua moglie, non si verifica la stessa umiliazione di quando è un uomo a essere umiliato». Parole di Elena Mizulina, capo della Commissione per la Famiglia, le donne e i bambini della Duma, il Parlamento russo. Parole pronunciate in un Paese in cui, secondo fonti dello stesso governo di Mosca, mediamente 36mila donne vengono picchiate ogni giorno dai loro partner. E dove è stato calcolato che siano 16 milioni le donne che sono state oggetto almeno una volta di violenza domestica, che rappresenta il 40 per cento di tutti i crimini violenti commessi in Russia. Ma secondo la senatrice Mizulina «la violenza domestica non è il principale problema nelle nostre famiglie, lo sono semmai la maleducazione, la mancanza di tenerezza e di rispetto, specialmente da parte delle donne».

Parole piuttosto sconcertanti, ma che non sono rimaste tali: su iniziativa della Mizulina una ex parlamentare liberale convertitasi al putinismo, anche se formalmente esponente di un partito di opposizione, e diventata la portabandiera di un conservatorismo retrogrado strettamente alleato con la Chiesa ortodossa due anni fa la Duma ha votato una legge che decriminalizza le percosse inferte tra le mura di casa, riducendole a reato amministrativo. Non si poteva andare avanti, aveva argomentato la senatrice, a sbattere uno in galera per due anni per un ceffone. Un marito russo che picchia la moglie, così, rischia adesso al massimo una multa equivalente a meno di 70 euro (lo stesso che si paga per un divieto di sosta con l'auto o per essersi accesi una sigaretta dove è proibito), che può essere aumentata a circa 400 se il reato viene ripetuto entro un anno. La cosa comica (se non ci fosse da piangere) è che spesso i soldi per pagare queste sanzioni vengono prelevati da un conto comune della coppia: e così una donna picchiata si ritrova a pagare la metà di una multa presa dal marito responsabile dell'aggressione.

Il vero problema è che la polizia, secondo le denunce di tante donne russe che sono state malmenate dai loro uomini, non è molto interessata a occuparsi di questo genere di faccende. I poliziotti russi liquidano spesso le denunce con una beffarda scrollata di spalle, dicono alle donne che si presentano in commissariato con un occhio nero che si tratta soltanto di litigi tra innamorati, e non di rado si lasciano andare a battute grossolane. Spesso non fanno proprio niente. E siccome è noto che in Russia la polizia non muove un dito senza che il potere politico sia d'accordo, è proprio in quel mondo che bisogna ricercare la causa di questa vergogna. Il fatto è e le dichiarazioni della senatrice Mizulina, sostenitrice a spada tratta dei «valori della famiglia tradizionale», sono solo la punta di un iceberg che la negazione del problema della violenza domestica in Russia è parte di una visione ideologica nazionalista e anti occidentale.

«Non vogliamo imitare gli eccessi che vediamo in Europa occidentale», ha detto il deputato putiniano Andrei Isayev: un ritornello che viene sempre più spesso ripetuto in Russia, dove da una decina di anni il numero uno del Cremlino ha imposto una ideologia nazionalconservatrice che contrappone i presunti nobili valori della civiltà russa a quelli che un Occidente decadente pretenderebbe di imporre anche laggiù. Come ha spiegato una responsabile di un'organizzazione russa per il sostegno ai genitori, «se la legge sulla violenza avesse mantenuto l'aggravante per chi è parente stretto dell'aggredito, questo avrebbe significato vedere gente finire in carcere per uno schiaffo, come succede in Europa. E poi, magari, i nostri bambini sarebbero stati adottati da coppie omosessuali europee».

Sarà. Per il momento l'unica «intromissione» europea risale al luglio scorso, ed è stata una sanzione di 22.150 dollari della Corte Europea dei Diritti Umani allo Stato russo da versare come risarcimento a Valeria Volodina, che si era rivolta a Strasburgo sostenendo che le autorità del suo Paese non avessero fatto nulla per proteggerla dalle violenze del suo ex fidanzato. La Corte ha stabilito che la Russia «si è dimostrata riluttante a riconoscere la gravità del problema della violenza domestica e i suoi effetti discriminatori sulle donne». Nulla però è cambiato, e rimane il fatto che la versione aggiornata della legge per iniziativa di una donna ha tolto alle donne russe qualsiasi protezione, tanto che perfino il ministro dell'Interno Vladimir Kolokoltsev ha dovuto ammettere che una multa non rappresenta un deterrente contro la piaga degli abusi. Come spesso succede, là dove la politica fallisce è la cosiddetta società civile a farsi avanti, magari prendendo spunto da un caso pubblicizzato dai media. È così accaduto che l'attivista femminista Alena Popova ha lanciato sui social una campagna contro la violenza sulle donne in coincidenza con il caso di tre sorelle - Krestina, Angelina e Maria Khachaturian in attesa di processo per l'omicidio premeditato del loro padre, commesso nel luglio 2018 quando erano meno che ventenni. Le ragazze hanno raccontato che il loro genitore le aveva picchiate e violentate per anni, e di aver agito per disperata autodifesa. Se condannate, rischiano fino a vent'anni di prigione. La risposta all'iniziativa della Popova è stata impressionante: milioni di persone hanno postato su Instagram, Twitter e Vkontakte (l'equivalente russo di Facebook) fotografie di se stesse truccate come se fossero state picchiate.

La speranza è che al Cremlino ne tengano conto, e non solo per risparmiare alle sorelle Khachaturian di marcire in galera. E magari prima che anche la Popova faccia la fine di Elena Grigorieva, l'attivista per i diritti degli omosessuali assassinata a San Pietroburgo l'estate scorsa.

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