Quelle «liti banali» di violenza inaudita

Altro che Paese lacerato da un conflitto xenofobo. La vera striscia di sangue, in Italia, la lasciano le liti. Banali, per «futili motivi» come dicono gli investigatori, ma alla fine quello che conta è che ci scappa il morto. Ci sono quelle tra vicini di casa, che nascono per un posto auto rubato in cortile o per i panni stesi sul balcone. Parole grosse, la promessa di un faccia a faccia. E poi, invece, si tirano fuori i coltelli e le pistole. Come è successo a Chivasso, nel Torinese, una settimana fa: bilancio definitivo di due giovani feriti e di quattro persone in manette, tra cui un sedicenne.
Sempre giovani protagonisti, i bar sempre «luoghi caldi» dove si fa presto ad accendere la miccia. Quartiere Prenestino, Roma, questa estate. Due fratelli entrano nel locale per comprare una bottiglia di the freddo. Dentro, ci sono altri tre coetanei. Qualche occhiataccia di troppo, le minacce, quindi l’appuntamento per «regolare i conti» all’esterno. La rissa degenera subito, saltano fuori i coltelli, la fuga solo quando qualcuno resta sull’asfalto ferito: per uno di loro ci vorranno trenta punti di sutura. Copione comune alle battaglie fuori dalle discoteche, che si moltiplicano nei trafiletti di cronaca. Ma a volte entrano in ballo faccende più grosse, le bande latinoamericane, ad esempio, e allora il «macello» è assicurato. Club «Rainbow» di Milano: dove può capitare addirittura di essere ammazzato «per errore». Quello che è avvenuto sul serio a un peruviano. Qualcuno, un ecuadoriano che aveva bevuto decisamente troppo, insisteva nel dire che aveva guardato la sua donna. L’altro non ha avuto il tempo di spiegare che si trattava di uno sbaglio, scambio di persona. S’è ritrovato accoltellato nei parcheggi a fine serata. Stranieri, sbandati, disperati pronti a farsi fuori per un cellulare. Davanti a tutti, nella piazza del paese (Piove di Sacco, Padova, qualche sera fa). E a Roma, basta vedere cosa è successo a un 31enne immigrato polacco un paio di settimane fa. Gli aggressori, forse due o tre romeni, non hanno smesso di picchiarlo fino a quando non è rimasto per terra privo di sensi. Ammazzato a botte perché colpevole di aver venduto un trapano che «non funzionava bene».
Follia che a volte tocca da vicino, non esplode negli ambienti degradati, ma colpisce sotto casa. Come in via Zuretti o sotto l’Arena di Verona. È del maggio scorso l’uccisione di Nicola Tommasoli, 29 anni. Quella volta la «variabile» impazzita non fu il razzismo, l’odio a prima vista, dettato dal colore della pelle. Nessuna «ondata neonazista in Veneto». I cinque balordi arrestati sono ventenni che hanno preso un coetaneo a calci e pugni.

Lo hanno fatto perché questi si era rifiutato di offrire una sigaretta. I giornali parlano di un pestaggio di stampo politico. Le indagini portano ai responsabili e viene esclusa la matrice ideologica. Uno di loro ha precedenti per scontri da stadio. Ma questa è un’altra storia.

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