La guerra che Luca Cordero di Montezemolo ha, molto a parole, dichiarato al mondo politico non convince tutti gli imprenditori. Parlando informalmente, dopo l'assemblea confindustriale di giovedì 24, con industriali, grandi e piccoli, si coglieva la preoccupazione per battaglie senza sbocchi, che finiscono per guastare in modo generico le relazioni tra mondo dell'imprese, governo e Parlamento.
Tutti in Italia conoscono la cattiveria di Romano Prodi, l'hanno visto in opera contro i Benetton e Marco Tronchetti Provera: sfidarlo non con proposte specifiche ma con formule propagandistiche, può suscitare vendette. Ed è bastato un giorno per capire che le ritorsioni sarebbero state immediate e puntuali: gli attacchi, con toni sprezzanti alla legge Biagi fatti da Prodi sabato al convegno della famiglia sono la paga che il premier dà a un Montezemolo che ha chiesto «molti favori» (dai prepensionamenti Fiat alle varie rottamazioni in Finanziaria) ma appare pigro nel ricambiare.
Molte dunque le prese di distanza. Ma riservate. Anche perché la protesta montezemoliana esprime un diffuso malessere, l'istinto degli imprenditori è di non indebolire la propria organizzazione, l'appello all'orgoglio di far impresa ha riscaldato i cuori.
Ieri, però, un fatto nuovo: un articolato intervento di Sergio Marchionne a Torino (se ne scrive in questa pagina) in cui si insiste sul «non essere un soggetto politico» , sul «non si parla fuori dal proprio mandato» e così via. È malizioso contrapporre le parole dell'amministratore Fiat a quelle del presidente? Marchionne è uomo di mondo e cita positivamente Montezemolo sulla «cultura di fondo» che l'impresa deve trasmettere. Ma le argomentazioni sul non volere essere «soggetto politico» sono troppo precise per essere casuali.
Per alcuni versi la voglia di non litigare con Prodi di Marchionne ci può far sentire più vicini a Montezemolo.
Però sull'idea di fondo che l'Italia comincerà a funzionare se ciascuno farà il suo mestiere, su una cultura di fare impresa (e di rappresentarla) sobria, è difficile dare torto all'uomo che ha risanato la Fiat, anche per il tono autocritico sulle troppe volte che la società torinese ha fatto politica in modo improprio, pensando di risolvere così i propri problemi industriali.
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