Quelle telefonate con Pollari: «Ora basta, voglio dimettermi»

Stefano Zurlo

da Milano

È il 13 maggio. Il generale Niccolò Pollari telefona a Mancini. I due ormai sono ai ferri corti: Mancini, accerchiato dall’inchiesta su Abu Omar, non vuole rassegnarsi a recitare la parte del capro espiatorio. Considera il direttore del Sismi un codardo. A far esplodere il rapporto fra i due, secondo il gip, è «il provvedimento di licenza per malattia riguardante Mancini che risulta essere stato adottato, su indicazione di Pollari, come escamotage di facciata per attenuare la luce dei riflettori accesi sul Sismi a seguito di vari articoli di stampa, aventi ad oggetto la persona del Mancini ed il suo supposto coinvolgimento nel sequestro». Mancini non ha digerito questa emarginazione, ora minaccia di andarsene. E gioca le sue carte. Secondo il gip, con l’aiuto di un alto funzionario del Sismi, Marco Iodice, «ha anche sollecitato ed effettuato alcuni incontri con eminenti personalità politiche, tenute all’oscuro del reale svolgimento della vicenda, nella verosimile prospettiva di sollecitare possibili interventi a proprio favore presso il direttore del Sismi, generale Pollari».
La situazione non si sblocca: Mancini è sempre più solo. Dunque medita di dimettersi. La notizia arriva a Pollari che fa un salto sulla sedia e lo chiama.
Pollari: «Mi ha chiamato Pio Pompa, perché l’avrebbero chiamato dall’Ansa dicendo che c’è una conferma dalla parte politica che ti saresti dimesso... però ho smentito che ti sei dimesso. Pronto?».
Mancini: «Sì, direttore».
Pollari: «Eh scusa... perché mica ti sei dimesso? Scusa, eh?».
Mancini: «Be’, è come se lo fossi, me ne vado».
Pollari: «Insomma, non ho capito che senso ha preparare questa notizia».
Mancini: «Io non l’ho preparata».
Pollari: «Sì,... ho capito, però magari non facevi un soldo di danno se me lo dicevi prima... dici: “Ho intenzione di dire questa cosa”, per me era una cosa che doveva rimanere riservata fra di noi, scusa eh. Adesso ho smentito. Ho smentito, ho detto “a me non risulta” e se dovesse uscire una notizia di questo genere dirò che a me non risulta che ti sei dimesso, eh, perché la notizia sull’Ansa sta uscendo clamorosamente, dice: “Mancini si è dimesso”, così sta dicendo la notizia sull’Ansa... Io voglio sapere, rispondi in onestà: ti sei dimesso?».
Mancini: «No, voglio dire, io pensavo fosse automatico il fatto che lunedì me ne vado, mi sono dimesso, sì».
Pollari: «Lunedì non mi risulta che te ne vai, a me risulta che lunedì tu presenti una domanda di visita medica, non so qual è l’esito di questa visita medica, scusami, e poi in secondo luogo, non mi sembra che la sede più opportuna per dire queste cose sia l’Ansa».
Il clima resta tesissimo e ingarbugliato. Il 17 maggio, quattro giorni dopo, il gip annota: «Marco Iodice comunica al Mancini che si sta recando da un’altra eminente personalità politica per procurargli un incontro». Segue un breve sunto della conversazione.
Iodice: «Dice che alle 16.30 deve andare... omissis ...e chiede a Marco se può dirgli esattamente come sono andati i fatti».
Mancini: «Dice di dirgli assolutamente tutto e che lui è pronto a recarsi...».
Iodice incontra il misterioso interlocutore politico. Il meeting dura tre ore e il politico chiede «tutto nel dettaglio». Iodice riferisce a Mancini com’è andata. E qui, secondo i magistrati, si tradisce. La telefonata «contiene l’ammissione anche da parte di Iodice del fatto che la Cia chiese al Sismi di partecipare al sequestro». Iodice: «Guarda, gli ho spiegato esattamente qual è stata la dinamica... quando è arrivato questo tipo di richiesta ci siamo guardati in faccia, c’è stato un momento di riflessione, poi dopo ci siamo detti che in Italia una cosa del genere non è proprio pensabile farla...

lui ha condiviso, condiviso pienamente».
Pollari? La sua posizione, almeno nell’ordinanza, resta in bilico. Una sua partecipazione all’operazione Abu Omar appare solo ipotizzabile. I generali potrebbero aver agito in silenzio, senza informarlo.

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