«Quello non è un luogo di culto sarà una terra donata all’Islam»

da Genova

Lui, certo, da mediatore non l’avrebbe fatto. Non avrebbe contribuito alla nascita di una moschea a Genova. Don Gianni Baget Bozzo, il sacerdote politologo, consigliere di Silvio Berlusconi, va oltre quello che sembra un motivo di distensione tra cattolici e musulmani. E si sorprende alla notizia che i frati siano stati parte determinante del progetto con una transazione commerciale.
Cosa significa per lei questa notizia?
«Che Genova diventerà a tutti gli effetti un punto di riferimento nelle relazioni con il mondo musulmano, un centro di traffico di primo piano con questa società. Non possiamo sapere cosa accadrà, ma non abbiamo neppure alcun controllo su ciò che questa moschea potrà portare. E dobbiamo anche prendere atto che tutte le posizioni radicali sono sempre nate intorno alle moschee».
Non l’ha presa bene?
«La cosa non mi rallegra. Non la trovo una buona notizia per Genova».
E il fatto che la Chiesa possa dare una mano all’imam?
«Certo, è curioso. Capisco che possa aver agito nell’interesse della comunità di Cornigliano, ma francamente mi sembra paradossale che un’istituzione cattolica abbia contribuito a introdurre la moschea sul proprio territorio, perché resta il fatto che i frati francescani sono protagonisti di un passaggio fondamentale della realizzazione di questa moschea».
Ma perché teme questo progetto?
«Perché purtroppo si vede generalmente una moschea come una chiesa di un’altra religione».
Non lo è?
«No, non è un luogo di culto. È un edificio della umma, la comunità islamica. E soprattutto diventa terra dell’Islam. Per sempre. Non dobbiamo vedere questa religione come un’altra forma di cristianesimo, è diversa, predica l’affermazione dell’Islam sul mondo. È una comunità mondiale totale, corrisponde più a ciò che intendiamo per politica che per religione. Non guarda solo all’aspetto interiore».
I frati francescani hanno dato seguito a un’iniziativa del cardinal Bertone...
«Il cardinal Bertone si è trovato di fronte all’Islam nel momento in cui è diventato segretario di Stato Vaticano, ha visto di cosa si tratta quando ha dovuto difendere le parole del Papa. Ecco, la moschea di Genova sarà un punto di quella comunità islamica che si è manifestata grazie alla tv come una comunità mondiale contro il Papa. E non mi risulta che sia stata chiesta la reciprocità con qualche Paese islamico come auspicato da Papa Giovanni Paolo II e come riformulato dall’attuale pontefice».
Crede quindi che potendo tornare indietro non tenderebbe più la mano all’imam di Genova?
«Non lo posso sapere, non sono in lui. Ma certo ora si è trovato di fronte a un imam urlante. C’è da dire che anche a Roma ci sono posizioni concilianti come la sua. Ad esempio ricordo Giulio Andreotti che è intervenuto per la realizzazione della moschea a Roma».
Conosce l’imam di Genova, Salah Hussein?
«Non lo conosco, ma è un imam. Mi auguro che sia tranquillo, dolce. Ma quando c’è una moschea l’imam può anche cambiare, la moschea resta».
Insomma, la Chiesa ha sbagliato?
«Questa scelta non la metterei tra i suoi fasti. Diciamo che è stato un atto di carità nascosta. Ma a chi ha fatto questa carità? In realtà soprattutto al sindaco Pericu.

Gli ha risolto la grana della moschea che lui aveva promesso, e soprattutto lo ha tolto dalla difficoltà in cui si trovava a Cornigliano, in una zona di elettori vicini alla sua parte politica, che erano contro di lui perché non volevano quella moschea».

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