Quello sciagurato referendum che cancellò l’atomo

Gentilissimo dottor Granzotto, sono un vecchio e appassionato lettore del Giornale e un fanatico della sua rubrica e degli articoli del professor Franco Battaglia con il quale, spesso, vi scambiate pubblica corrispondenza. Nel circolo dei miei amici spesso affrontiamo il problema della carenza di energia ed io sostengo che la maggiore responsabilità di questo disastro per l’economia italiana è dei radicali e di Pannella, che proposero il referendum sull’energia nucleare, ma essi negano questa evidenza. Vuole essere così gentile, avendola noi eletto a giudice supremo, di dirci il suo parere? È vero che la sinistra, in seguito al disastro di Chernobil, da che era contraria alla posizione dei radicali, diventò favorevole e determinò l’infausto risultato, ma se quell’iniziativa non fosse stata presa oggi non staremmo in queste condizioni? Ancora due anni fa, il 06/02/05, Pannella, con la sicumera che lo contraddistingue, dichiarava, sul Sole 24 ore, di non essersi pentito di quel gesto.


A ricordare come si giunse allo sciagurato referendum del novembre ’87 c’è da andarsi a fare l’antirabbica, caro Adipietro. Il movimento antinucleare nacque negli Stati Uniti, in seno alle comunità hippies, i figli dei fiori. Conducevano una vita da michelacci, molta musica, molte e libere copule, molte canne, niente lavoro per l’amor di Dio, tanta chiacchiera e vita all’aria aperta con pochi panni addosso. A loro dell’elettricità gliene importava un baffo. A candele, andavano, a lanterne rosse. Niente tv, frigorifero, lavatrice, ascensore, microonde, riscaldamento o aria condizionata. Come fornitura tecnologica bastava loro uno Zippo, per accendersi lo spinello. Andò che un bel giorno alla lista delle loro numerose intolleranze (il servizio militare, il consumismo, il lavoro, il codice, la polizia, il comune senso del pudore, eccetera), aggiunsero il nucleare civile. E partì la campagna del «no nuke», subito adottata da una Europa al solito lestissima ad abbracciare le frescacce americane. Prese quindi forma la protesta antinuclearista con tanti bravi giovani a sfilare per le strade e tanti bravi intellettuali a tener loro bordone. I governi non si fecero però intimidire: le centrali nucleari continuarono a funzionare e i piani di sviluppo a procedere. Ovunque, meno che in Italia, dove la politica non solo non contenne la mattana, ma la fece propria.
E fu referendum, promosso dal Partito radicale, Democrazia Proletaria, Verdi, Federazione giovanile comunista, Legambiente, Amici della Terra, Italia Nostra, Wwf e Lega italiana per la protezione degli uccelli (Lipu). Col senno del poi, sarebbe bastato questo elenco di enti, movimenti e partiti di natura isterica, catastrofista e astratta, ad allontanare gl’italiani dalle urne. Invece vi si riversarono, chi credendo di dire no alla bomba atomica e chi di scacciare la minaccia di una scontata, inevitabile Chernobil italica. Fummo, in quella circostanza, enormemente fessi e ci ritrovammo con l’energia elettrica più cara del 40-50 per cento della media europea. Ma non perdiamoci d’animo, caro Adipietro. Così come chiodo scaccia chiodo, frescaccia scaccia frescaccia.

La incombente desertificazione da effetto serra sta mettendo infatti gli antinuclearisti con le spalle al muro: a parte i pannicelli caldi, macché caldi, tiepidi, dell’energia alternativa, per mandare avanti l’azienda Italia e al tempo stesso ottemperare al Protocollo di Kyoto - in questo senso benedetto - si stanno rendendo conto che c’è un solo modo. L’atomo. E a quello, dopo la ventennale mattana, torneremo. Ci scommetta.

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