Federico Berlingheri
Te ne andasti esattamente tredici anni fa, in quel mite 14 ottobre del 1993, nella tua cameretta dell'ospedale Galliera di Genova. Avevi 63 anni. Pochi mesi prima, in quell'estate di tredici anni fa, regalasti alla tua Samp, oltre a David Platt e Chicco Evani, un certo Ruud Gullit, allestendo una squadra forse più forte di quella campione d'Italia del '91. Se fossi rimasto tu, la Genova blucerchiata che tanto amavi avrebbe forse potuto gioire per un altro Scudetto. Ma chi può dirlo
Tu non sei rimasto.
Te ne andasti in quel giorno d'ottobre e, insieme a te, se ne andò un pezzo di Samp. Quella stessa Samp che raccogliesti in Serie B nel giugno '79 e riportasti in A tre stagioni dopo, insieme con Renzaccio Ulivieri. Il Marziano Alviero Chiorri, Alessandro Scanziani, artefice numero uno della promozione dell'82, il giovane difensore Luca Pellegrini, l'irlandese Liam Brady, il bomber Trevor Francis, l'enfant prodige Roberto Mancini: furono questi i primi tasselli per fare grande la squadra blucerchiata. In quella squadra, anche grazie a quel prezioso Direttore Sportivo che si rivelò il Dottor Borea, arrivarono poi lo Zar Pietro Vierchowod, Fausto Pari, Turbo Moreno Mannini, Charlie-Champagne Greame Souness e, soprattutto, quel Luca Vialli da Cremona, «ricciolino» poco più che ventenne. E arrivò anche il primo trofeo della storia blucerchiata. Era il 3 luglio del 1985 quando capitan Scanziani sollevò, in un torrido cielo estivo, dopo poco meno di cinquant'anni (e per la prima volta nel Secondo dopoguerra), la Coppa Italia al Ferraris.
Era dal lontano '37, infatti, anno in cui gli «antenati» genoani vinsero la stessa manifestazione, che la Genova sportiva non «vedeva vincere niente»; era dal lontano '37 che una squadra genovese non inseriva un trofeo nella propria bacheca. Dopo quasi cinquant'anni, dopo quel 12 agosto del '46 che vide nascere l'Uc Sampdoria, riuscisti a conquistare una Coppa con la «c» maiuscola. E questo fu solo l'inizio. Oltre a quella Coppa Italia, ottenuta battendo nella doppia finale il Milan di Nils Liedholm, alzasti, vincesti altri cinque trofei: altre due Coppe Italia (1988-1989), una Coppa delle Coppe (1990), lo Scudetto (1990-91) e la Supercoppa Italiana (1991), affidandoti alla direzione tecnica dello zingaro del pallone Vujadin Boskov; aggiungendo ad un già collaudato «telaio», i vari Hans Peter Briegel, Toninho Cerezo, the Wall Gianluca Pagliuca, Beppe Dossena, Amedeo Carboni, Popeye Attilio Lombardo, lo sloveno Srecko Katanec, il sovietico Alekseji Mikhaijlichenko, e chi più ne ha più ne metta. Conquistasti sette trofei in neanche quindici anni; ne perdesti due che bruciano ancora. Berna, Wembley, quel fatal Barça di Johann Cruyff, l'arbitro tedesco Schmidhuber, la bomba di Ronald Koeman: nomi, termini scolpiti nella memoria di tutti i sampdoriani, i più grandi rimpianti della storia blucerchiata. Ma i sampdoriani dimostrarono di saper perdere, sempre.
Insegnasti molto alla tifoseria della Samp, ne divenni il padre, affettuoso, sempre prodigo di consigli, ma anche di rimproveri, a volte esigente. Chiedevi sportività, rispetto per l'avversario, del pubblico ospite. Era un calcio a misura d'uomo il tuo; un calcio che non aveva nulla a che vedere con quello moderno. Sportività, lealtà e rispetto sono termini che, oggi, in questo pazzo e corrotto mondo pallonaro del Terzo Millennio, riecheggiano come belle utopie, facili illusioni.
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