Quello strano incontro tra Loden e Canottiera

Il faccia a faccia Monti-Bossi ha messo per la prima volta a confronto due filosofie e due stili opposti

Quello strano incontro  tra Loden e Canottiera

Roma - Canotta contro Loden, fumo di sigaro e fumo di Londra, osteria e accademia, corna contro humor british, discolo contro secchione, scuola Radio Elettra contro Bocconi e Columbia University, mai visti due opposti più opposti di questi: il Senatùr e il senatore (a vita). Che mai si saranno detti Bossi e Monti nel faccia a faccia a Palazzo Chigi, ma soprattutto come, in che modo, in quale lingua? Il premier ne parla tre o quattro, ma quella del capo leghista no, è materia sconosciuta per il Professore, seppur entrambi vengano da Varese. Al prof. Mario Monti, sceso dalle facoltà economiche e dai board di Goldman Sachs nell’osteria della politica italiana, è toccato anche questo, avere a che fare con tipi per lui alieni come Umberto Bossi da Cassano Magnago. Un incontro ravvicinato del terzo tipo che sarebbe stato bello filmare, per poi farlo analizzare dagli studiosi di qualche ateneo.
A fare da mediatori culturali o interpreti c’erano Luca Zaia e Piero Gnudi, per la mezz’ora che è durato questo esperimento di antropologia politica. La classe dei super tecnici, coi figli laureati a Boston e già banchieri, parla coi Bossi, quelli delle Trote bocciate tre volte alla maturità e del dito medio stampato sulla t-shirt. Per Monti equivale ad un incontro diplomatico con un capo straniero, una delegazione venuta dal Nord del pianeta che parla un idioma strano e fa richieste bizzarre (l’indipendenza della Padania).
Ma il compito non è meno duro per Umberto Bossi, l’eterno fuori corso che mai finì Medicina anche se talvolta indossava il camice bianco per rassicurare la famiglia, che ora deve fare i conti con un signore che appartiene ad una famiglia umana del tutto differente: l’upper class dalle buone maniere e dagli studi brillanti, che non dice mai (e nemmeno pensa) parolacce, al peggio «accipicchia», e che come sogno proibito ha una seduta straordinaria della Commissione Ue. Se Monti replica alle domande sgradite con un raffinato «ha visto che bella giornata?», Bossi si regola altrimenti: un dito medio o il gesto dell’ombrello sono la prassi per i cronisti che lo seguono. L’austerity, per il segretario federale, va intesa in diverso modo rispetto al bocconiano. Non solo nel vestiario, che non prevede il grigio accademico di Monti ma piuttosto un verde flanellato o qualche fantasia in lana di montagna, d’estate la canotta, ma persino in campo alimentare. Se la dieta del premier si affida alle salumerie chic del centro storico di Roma o Milano, Bossi va avanti a grissini pucciati nella Coca-cola (sua orrenda abitudine da sempre), bistecche e polenta, scatolame di sardine, prodotti da supermercato. E tanti insani sigari (fumati tranquillamente al chiuso anche con presenti non fumatori), mai neppure contemplati nella giornata robotica di Monti, che come licenza può spingersi al massimo al bicchiere di ginger o crodino.
Già uno come Tremonti fa uno strano effetto ai raduni leghisti, il tributarista con occhialini e l’erre moscia mescolato alla tribù dei barbari (sognanti) con la griglia delle salamelle sempre fumante, ma il professor Monti a Pontida o in qualche valle con Bossi, Calderoli e Borghezio, è un’immagine impossibile. Gli incontri ravvicinati possono solo essere sporadici e rapidi, mediati da altri. Preceduti da un insulto? Capita, con Bossi, che nel comizio di Milano l’ha definito capo di un governo «infame», un’offesa a cui Monti ha reagito muovendo di mezzo millimetro un sopracciglio. Due abitanti di galassie lontane che provano a comunicare, anche se non è da escludere una remota simpatia tra i due, specie di Monti verso Bossi. I secchioni, dentro di loro, ammirano sempre il Franti della situazione, quello che in classe risponde male al prof che loro invece temono, e così anche il preside del Consiglio potrebbe nutrire una qualche propensione verso Bossi.

Più difficile il contrario, visto che la cosa più carina che gli ha detto finora è stata «a casa, fuori dal cazzo», considerandolo un fighetta, per quanto non «terùn» come Napolitano. «È andata bene» dice Bossi uscito da Palazzo Chigi. Ma chissà poi come commenta veramente quando torna nella sua tribù.

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