Milano Il modulo dice «richiesta di rinvio a giudizio», e sotto c’è proprio il nome di «Berlusconi Silvio, nato in Milano il 29.9.’36». Insomma, ad un profano sembra che si tratti di una nuova richiesta di rinvio a giudizio per il presidente del Consiglio. E invece quella che ieri mattina parte dalla Procura della Repubblica di Milano non è - o non è ancora - una nuova richiesta di processare il capo del governo. Cosa sia esattamente, non è facile da spiegare. Ma la sostanza si può forse riassumere così: scavalcata per la prima volta da un giudice che la accusa di essere troppo morbida con il Cavaliere, la Procura milanese si trova nell’imbarazzo di dover obbedire al giudice senza però smentire se stessa. E, per adesso, si barcamena prendendo tempo.
Al centro c’è la faccenda ormai annosa della telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, con il leader dei Ds che festeggiava la scalata di Unipol alla Banca nazionale del Lavoro, pubblicata dal Giornale nel dicembre di sei anni fa. Fassino non è mai stato inquisito, mentre invece sotto processo sono finiti l’editore del Giornale, Paolo Berlusconi, e i tecnici delle intercettazioni che gli portarono in regalo il file della telefonata.
La Procura di Milano aveva inquisito anche il Cavaliere. Poi, con scelta più unica che rara, aveva chiesto l’archiviazione dell’inchiesta a carico del premier, mettendo nero su bianco che «non vi è stato un consenso/autorizzazione/via libera alla pubblicazione da parte di Silvio Berlusconi, né esplicito né implicito». A carico del capo del governo, scriveva il pm Maurizio Romanelli, si poteva ricorrere alla «prova logica», visto che l’intercettazione venne pubblicata solo dopo che era stata fatta ascoltare al premier nel corso di un incontro ad Arcore. Ma «nel corso dell’incontro di Arcore, per come riferito sia dai testi diretti che dalle persone che poco dopo ne sentirono la narrazione, non vi è stato alcun cenno alla prospettiva di pubblicazione».
Richiesta di archiviazione, dunque. Che il 15 settembre però il giudice Stefania Donadeo respinge, ordinando alla Procura di «formulare l’imputazione nei confronti di Berlusconi Silvio e chiedere il rinvio a giudizio nei tempi e modi di legge». Ieri mattina il procuratore Edmondo Bruti Liberati invece dirama un comunicato in cui si limita a dire che il suo ufficio «ha formulato in data odierna l’imputazione nei confronti dell’on. Silvio Berlusconi». E, alle domande dei cronisti su come andrà a finire la faccenda, spiega che in realtà la Procura deciderà il da farsi tra tre mesi, quando si terrà l’udienza preliminare, al termine della quale il pm Romanelli potrebbe decidere di chiedere il processo per Berlusconi oppure insistere per il suo proscioglimento.
E a quel punto sarà il giudice - che per legge non potrà essere lo stesso dell’altra volta - a decidere il da farsi.
Insomma, un intrigo procedurale in cui la Procura usa il modulo della richiesta di rinvio a giudizio per un imputato di cui forse non chiederà il processo. E infatti il testo della richiesta depositata ieri è assai stringato, non ci sono né argomentazioni né motivazioni che aiutino a capire se, insomma, alla fine di tutta questa storia, secondo Bruti Liberati e Romanelli le prove contro il Cavaliere ci sono o non ci sono.
Si vedrà all’udienza, o forse ancora più in là. Ma qualcuno, a quell’udienza, il rinvio a giudizio del presidente del Consiglio lo chiederà sicuramente: è Piero Fassino, che ha annunciato la sua decisione di costituirsi parte civile nei confronti di Silvio Berlusconi.
Uscito indenne dalle indagini sulla scalata Unipol, e da un’udienza del processo a Consorte in cui i suoi «non ricordo» rischiarono di irritare i giudici, l’ex segretario dei Ds sostiene che la pubblicazione sul Giornale aveva l’obiettivo di danneggiarlo politicamente, e che il mandante non poteva essere che il suo principale avversario. Ovvero Silvio Berlusconi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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