Cronaca locale

Questa mostra è un casino

Un inebriante profumo di Coty sembra stuzzicare ancora l'olfatto con una scia lunga cinquant'anni: da quel 20 settembre 1958 in cui furono chiuse le note «case» secondo la legge Merlin. E il fascino del peccatoçÇ rivive e si racconta in una mostra con arredi e oggettistica che trionfarono nelle alcove milanesi del piacere, dalla Belle époque fino al tramonto. Il titolo della originale esposizione non lascia adito a equivoci: «Mi piace un casino». Organizzata da Crazy Art di Rosella e Giancarlo Ramponi presso Crazymport in via Panzeri 10, aprirà il 19 settembre fino al 31 dicembre (9.30-12.30 e 14-18 dal lunedì al sabato).
I reperti d'epoca, ormai pressoché introvabili, provengono soprattutto dalle rinomate case di tolleranza di via Fiori Chiari, di via Disciplini e dalla lussuosa maison di San Pietro all'Orto che, ristrutturata negli anni Trenta, imitava il modello parigino. Il gaudente percorso dell'amore a pagamento, che ai plurisettantenni rievocherà sortite giovanili, cominciava con l'immancabile bancone della maitresse, di solito una ex «pensionante» ormai non più in grado di suscitare tentazioni, al cui fianco stavano il tariffario e l'avviso per le norme igieniche. Nel salottino d'attesa, squattrinati studenti universitari facevano «flanella» sbirciando nei generosi decolleté o pregustando minuti d'amore fra calze a rete coronate dalle giarrettiere. Ma i vellutati divani dai quali ammiccavano le giovani ospiti in desabillé accoglievano anche ruvide uniformi grigioverde di militari in libera uscita, raffinati gessati di commendatori o rattoppati abbigliamenti di contadini, secondo il prestigio della «Casa». Da lì qualche cliente spinto da eccessivo bollore raggiungeva la camera con la cintola già allentata, creando il genere degli «amanti con pedalino». Secondo Buzzati, «nelle case chiuse era trasmessa un'arte di fare l'amore che stava disperdendosi». Per Montanelli, «il colpo di piccone alle case di tolleranza fa crollare l'intero edificio posto su tre fondamentali puntelli: Fede, Patria e Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tradizioni trovavano sicura garanzia…». Ma accadeva di peggio. Come all'Archimandrita di Corfù in un «casino» di Como, che sul più bello ebbe un coccolone da finire stecchito. Poi, data l'esenzione dal sacramento della confessione per chi si recava al bordello, ben altre vesti, e con molti bottoni, scivolavano furtive negli appartamenti della trasgressione per consolare il proprio corpo anziché le altrui anime. Infine nella mostra riappare la stanzetta del voyeur: da un ingannevole specchio si potevano sbirciare le ragazze durante gli «intrattenimenti» fra cuscini frangiati e coperte in raso su letti in vago stile impero. Tra quadri e stampe erotiche, non manca una discinta giovane accanto al mussoliniano «tenere duro», che in quegli ambienti doveva suonare come missione oltre che come esortazione. E dopo lavabi d'epoca, abat-jour e separé, ecco le famose «marchette»: i dischi metallici con un foro al centro e il nome della maison che provavano l'avvenuto pagamento della prestazione d'amore. Ma tutto era ovattato dalla misura e dal garbo. La mostra sarà l'occasione per presentare il libro La signora Wanda di Claudio Bernieri (ediz. Alberti), la maitresse più volte citata da Indro Montanelli, e assistere alla proiezione del videoclip «Fiori chiari», regia di Barbara Seghezzi. Sarà disponibile anche il cd con le «»Canzoni della signora Wanda», realizzato dai Merlin Project, Nando Uggeri e Mario De Toronto.

Infine, la fotogallery di Gigliola Piazza propone una libera rivisitazione di quelle irripetibili atmosfere.

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