Questa povera città buia e ostaggio della monnezza

Nel 1916, Giuseppe Ungaretti, ospite di Napoli, scrisse una poesia intitolata «Natale». I primi versi facevano così: «Non ho voglia/di tuffarmi/in un gomitolo di strade».
Anch’io non avrei voglia di tuffarmi nel gomitolo di strade napoletano, e questo per due motivi principali: per il rumore assordante delle automobili e della stessa gente (da noi il rumore non è un incidente, è moto perpetuo) e per i cumuli di monnezza che le sommergono. Nessuna via, vicolo, piazza, ne è risparmiato. Quattromilasettecento tonnellate di rifiuti sommergono la stazione centrale, Capodichino, via Toledo, il Vomero, Posillipo, Marechiaro. E centoventimila sono quelle che si stendono tra Napoli e Caserta.
Anch’io non avrei voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade, ma devo farlo, per le visite d’obbligo ai parenti e i regali (più d’obbligo - per chi deve riceverli - delle stesse visite).
Si cammina in uno scenario apocalittico: roghi di monnezza al Vomero, ai Ponti Rossi, ad Agnano, a Fuorigrotta, finanche nelle zone panoramiche della città, dove chi ha acquistato un bilocale lo ha pagato anche un milione di euro, credendo d'aver «assicurato» ai propri polmoni solo aria di mare. Sirene dei pompieri lacerano l’aria ad ogni ora del giorno (ma il veicolo procede ad un chilometro all’ora, perché il traffico, in questi giorni, è quello che si vedrà se il Vesuvio comincerà a scagliare nell’aria i primi massi), cassonetti sono dati alle fiamme. Su questi cumuli di monnezza si danno battaglia zoccole, gatti e persino gabbiani. Extracomunitari, zingari e barboni vi rovistano alla ricerca di qualche oggetto da rivendere o da utilizzare.
In questo periodo natalizio è la monnezza l'idea fissa dei napoletani. Tutti la maledicono, ma siccome la fantasia non manca, c’è chi progetta di scolpire un monumento ai rifiuti e di installarlo nella piazza più rappresentativa della città (piazza del Plebiscito), chi allestisce presepi di spazzatura (uno di questi è a Boscoreale: la Madonna si china verso Gesù per proteggerlo dai miasmi), chi erige balle di rifiuti con sopra le fotografie del sindaco, del governatore e di Pecoraro Scanio.
Dai balconi si lanciano secchi d'acqua per spegnere i roghi, i «bassi» sono chiusi perché zoccole e scarrafoni possono cacciarsi in casa.
Quando rimango in casa, accendo il televisore. E che vedo? Capitali europee addobbate a festa: Vienna, Londra, Madrid. Parigi, da sempre la ville lumière, a Natale lo è ancora di più.
E Napoli? Napoli è la ville stutàta (spenta), l'antilumière. Grazie a un’amministrazione inetta e alla camorra, quest'anno non ci sono le luminarie, neppure un mozzicone di candela riciclata da qualche chiesa od ossario. L'unica luce viene dai falò della monnezza: grazie anche di questo, signor Bassolino e signora Iervolino.
E grazie anche di questo, elettori di sinistra, che da anni date fiducia a personaggi che andrebbero esiliati, come fu fatto per i Savoia. Passando per Spaccanapoli, un tale che vendeva biglietti della lotteria, esclamava: «Accattàteve ’o biglietto, cagniàte ’a vita vosta...! Ca Prodi nun c'ha lasciato manco 'e sorde pe ll'uósse p''o bròro...!».

(Compratevi il biglietto, cambiate la vostra vita, perché Prodi non ci ha lasciato neppure i soldi sufficienti ad acquistare gli ossi per cucinare il brodo).
Come sarebbe bello se per Uno che arriva in Palestina, (almeno) tre partissero dall’Italia: Prodi, Bassolino e Iervolino.

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