Questa Versione di Barney non è affatto «scomoda» Anzi, è proprio romantica

nostro inviato a Venezia

Un’altra commedia - sentimentale, ironica e amara - ha riportato un po’ di leggerezza ieri al Lido, vigilia della Notte dei Leoni, dopo giorni di malinconie, corpi umiliati e lambiccamenti intellettuali. La versione di Barney, riduzione cinematografica dell’omonimo romanzo di Mordecai Richler divenuto un caso letterario non solo in Italia (edizioni Adelphi), è stata lungamente applaudita anche alla proiezione per la stampa e, dopo l’ottima accoglienza riservata alle altre due commedie in concorso (La Passione e Potiche), non resta che riconoscere una piccola svolta. Ovvero la conferma che questo genere, troppe volte considerato con sufficienza, ha pieno diritto di cittadinanza anche in una Mostra d’Arte cinematografica. Come dimostra il lavoro firmato da Richard J. Lewis (Csi - Scena del crimine), divertimento e pensiero non sono necessariamente due numeri primi destinati a correre in parallelo senza mai congiungersi.
Barney’s version è un film pieno di vita, con dialoghi fulminanti, situazioni paradossali, case vissute e piene di atmosfera e tanta buona musica. Protagonista è il cinico manager televisivo della Produzioni Assolutamente Inutili Barney Panofsky impersonato attraverso 40 anni e tre matrimoni da un ottimo Paul Giamatti. Nella vita privata, però, Barney è un romantico, un bambinone che si lascia andare al primo istinto soprattutto se il richiamo è un paio di gambe. Oltre che dalle donne però viene raggirato anche dagli amici. Il migliore dei quali (Scott Speedman) sparisce per un presunto omicidio di cui viene sospettato lo stesso Barney. Più scorretto di lui è il padre, l’ex poliziotto Izzy che ha il carisma dell’intramontabile Al Pacino. Il guaio vero è che, quando cade ubriaco, Panofsky lo fa sempre nei momenti meno indicati, come all’agognato pranzo con la donna della vita. Dopo il primo matrimonio celebrato a Roma e finito in tragedia, Barney si lascia convincere dal padre a sposarsi una seconda volta con una «principessa ebrea» in possesso di «un master e due tette così». Ma quanto sia innamorato lo si capisce già alla cerimonia dove, dopo qualche bicchierino e un’occhiata alla partita di hockey, inizia a corteggiare l’affascinante Miriam (Rosamund Pike). Qui, da ironica e politicamente scorretta, la commedia vira sul romantico con l’originale risposta alla richiesta di matrimonio di Barney: «Per te sono disposto a fare qualsiasi cosa, anche tagliarmelo», assicura lui mostrando il trinciasigari. «D’accordo, ma questo no… Ci servirà». Quello con Miriam sarà il grande amore dal quale nasceranno due figli. Ma l’inaffidabilità emotiva di Barney e soprattutto la perdita della memoria per l’Alzehimer sono in agguato…
«Anch’io come Barney non sono un tipo amabile e per prepararmi ho ovviamente letto il libro. E devo dire di aver ammorbidito sullo schermo il personaggio originale», confessa Giamatti. Anche il regista ammette di essersi distanziato dal romanzo: «Questo libro è stato così tanto amato dagli italiani e dai canadesi che mi sono guardato bene dal rispettarne lo spirito, mettendo al centro la storia d’amore tra Barney e Miriam». E in un certo senso proprio qui sta la delusione di una parte della critica. Ci si aspettava un personaggio più sulfureo, pungente con le femministe e il salutismo imperanti, interprete di un modo di vivere controcorrente e politicamente scorretto come ce l’aveva presentato Il Foglio. Ma dal film emerge invece più un grande romantico, uno sventato intelligente che, se provoca, lo fa soprattutto per gelosia verso la moglie. Come quando al vicino di casa che simpatizza apertamente per lei dice più meno: «Miriam pensa che lei sia gay, ma io non riesco a convincerla che non è così».

Un modo per renderlo meno scomodo e più vendibile al cinema? «Non abbiamo ridotto la gradazione politica di Barney per ragioni di mercato», replica il produttore Robert Lantos «ma per soddisfare le volontà del suo creatore Mordecai Richler». Più convincente la risposta di Rosamund Pike, la Mirima del film: «Più che alle parole, abbiamo affidato alle azioni il suo spirito uncorrect».

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