da Genova
Stavolta, è vero. Stavolta, non è come due anni fa, quando le emozioni della promozione dopo Genoa-Venezia, il clima quasi surreale e incredibile di quella notte, vennero cancellate poche ore dopo dallapertura dellinchiesta sportiva. Senza nemmeno lasciare il tempo di gustarsi quella serie A conquistata sul campo dopo dieci anni.
Stavolta, se possibile, sono proprio la condanna per illecito, la sentenza «serie C e meno tre», le battaglie regolarmente perse davanti al Tar e alla giustizia sportiva, linferno della C su campetti di paese e la promozione in B acciuffata in extremis, che rendono tutto più bello, più caldo, più dolce, più emozionante.
Cè qualcosa, cè molto, di epico in tutto quello che succede. Sia per la storia, passata e recente del Genoa, sia per la promozione a braccetto con il Napoli. Che trasforma quello che poteva essere un confronto drammatico in una doppia festa a braccetto. Con un particolare in più a rendere il tutto ancor più magico: le due tifoserie sono gemellate e bandiere rossoblù e azzurre si mischiano in ogni settore dello stadio. Tanto che, se qualcuno volesse fare uno spot a favore del calcio, un fermo immagine sullo stadio Ferraris di ieri sarebbe perfetto.
Ironia della sorte è un genovese che ieri non era a Genova, il radiocronista Emanuele Dotto, a mettere il bollo ufficiale su questo momento storico: è lui, inviato a Piacenza per Tutto il calcio minuto per minuto a seguire la squadra di Iachini, ad annunciare che lincontro del Garilli è finito in parità e che, quindi, i play-off non ci saranno. E non è un particolare da poco dire che il Piacenza era allenato da Iachini: perché le altre due volte che il Genoa ha sfiorato la A, cera di mezzo sempre lui. A Ravenna, quando la squadra romagnola non aveva niente da chiedere alla classifica, Iachini fu il giocatore che onorò la partita più di tutti, fin troppo per i genoani. E due anni fa fu sempre il Piacenza di Iachini, che aveva poco o nulla da guadagnarci, a condannare il Genoa di Cosmi a giocarsi tutto nella partita con il Venezia. Quella dellillecito, per intenderci.
È tutto molto letterario, emozionante, epico ribadisco. Come lo è la storia di queste due squadre, con i loro eroi e i loro martiri: Signorini, Gorin, il prof Scoglio, lo stesso Diego. Sono talmente tanti i particolari che nessuno scrittore, nemmeno il più fantasioso, avrebbe potuto scrivere un romanzo così ricco. Sembrerebbe tutto esagerato. E invece lunica esagerazione è quella della realtà.
Stavolta, le lacrime sono più lacrime. E non si tratta di pochi casi isolati: cè un intero stadio e gran parte della città con gli occhi lucidi. Un osservatore capitato per caso ieri a Marassi attorno alle cinque del pomeriggio, avrebbe potuto pensare a un lutto collettivo o a una calamità naturale. E invece no. Le lacrime stavolta sono sulle guance di quasi tutti. Copiose, libere, irreferenabili.
È un po il Dna del Genoa. «Più mi tradisci, più ti amo» dice la scritta dedicata al Grifone sui muri di tanti quartieri cittadini. E quelle lacrime sono figlie, per lappunto, di tanto amore e di tanti tradimenti, di tante sofferenze. Piange il presidente Preziosi («Questa nessuno potrà portarcela via»), piangono i quarantamila di Marassi, piangono i capitifosi storici come Pippo Spagnolo, ultrasettantenne che sembra un vitellino, piangono i giocatori, hanno gli occhi lucidi persino i politici, dallazzurro Alfredo Biondi al presidente della Regione diessino Claudio Burlando. A Genova cè il ballottaggio per la Provincia e fino a sabato se le sono date (dialetticamente) di santa ragione. Ma per il Genoa si abbracciano e si baciano commossi.
Poi, fuori, dopo le lacrime, la festa. Ogni quartiere, ogni caruggio, ogni strada si colorano di rossoblù, con spruzzate di azzurro. Rispuntano maglie di sponsor dimenticati e di un calcio di un altro mondo e di un altro tempo. Genoani e napoletani si fondono in ununica, doppia, festa che ha il suo cuore in via Venti Settembre e a piazza De Ferrari, il salotto del centro, dotato anche di provvidenziale fontana.
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