Queste escort in tanga fanno rimpiangere le amanti in gûepière

Illustre dottor Granzotto, il nuovo polverone sollevato attorno alla protezione Civile e al suo capo in particolare offre diversi aspetti degni di riflessione. Uno dei quali, quello forse di minor impatto sociale, è che in tutti gli scandali e scandaletti che vedono coinvolti politici, esponenti dei «poteri forti» e furbetti del quartierino compare immancabilmente la escort o il transessuale con l’offerta d’amore a ore - la così detta «sveltina» - a pagamento, anche se poi a pagare è il committente e non l’utilizzatore finale. Mi chiedo: possibile che il Palazzo e viciniori non possa trattenersi dall’andare a puttane/i mattina e sera? Eppure ci sono altre vie per l'appagamento degli estri sessuali.
Roma

Ha proprio ragione, caro Bonocore, adesso va così, va forte l’escort (che potrebbe definirsi anche, voglia perdonarmi, «zoccola». Ha letto? Il tribunale di Roma ha sancito che pur essendo «volgare e inappropriata», quell’espressione non è offensiva. Sentenza davvero in linea con i tempi, non trova?). Comunque, la sempre più invadente presenza delle prestazioni sessuali in ogni scandalo che si rispetti non deve poi stupire: corruzione e «peccato di pantalone» (copyright di Umberto Bossi) hanno accompagnato la storia dell’uomo fin dalla prima scintilla di civiltà. E se pur da millenni ciascuno per le proprie competenze combatte quel reato e quel peccato (non necessariamente connessi e anzi, per lo più indipendenti), nessuno è mai riuscito a venirne a capo. L’unica novità è che se nella forma e nella sostanza la corruzione è rimasta grosso modo quella che era ai tempi di Nabucodonosor, «l’avventura», chiamiamola così, ha invece assunto un'altra veste. Sarà il consumismo, saranno i ritmi della vita moderna, sarà questa storia che il sesso è visto come esercizio ginnico, da bruciare nel tempo - e nei modi - di un set tennistico, ma sembra proprio che il guerriero non possa riposarsi se non giacendo con una donna (o succedaneo) da retribuire con un tot a prestazione. E poco importa se a fornire le «risorse umane» atte a soddisfare i carnali stop and go e se a pagarne il conto sia poi l’amico sollecito che pensa a tutto lui.
Una volta le cose mica andavano così. Una volta l’amor mercenario era risorsa del popolo minuto, non di quello grasso. Che caso mai aveva l’amante, che già il nome, «colei che ama», dice tutto. Sistemata in un quartierino ad hoc l’amante pazientemente attendeva l’arrivo dell’amato coprendolo poi di attenzioni, chiedendogli (ben sapendo che le mogli non lo fanno) della sua giornata di lavoro, colmandolo di «loro non ti meritano», «tu vali di più», «devi farti valere perché uno bravo e intelligente come te non è che lo si trova sempre». Se giunto nell’ora canonica l’amante aveva già pronta per esser scodellata all’amato «quella la zuppa pavese che ti piace tanto». Se invece l’ora canonica era altra, si faceva trovare in vaporosa robe de chambre, babucce con gli spiumazzi, maliziosi négligé. Non certo in tanga, capo di vestiario da sgallettate e che, a quanto si desume dalle intercettazioni, sarebbe la tuta di lavoro delle escort. Assente anche il companatico della escort, la cocaina: le droghe delle amanti avevano nome «Paradiso perduto» o «Fruscio di veli», della premiata profumeria Paglieri.

E sempre in tema di differenze, l’amante non ricattava, non fotografava, non filmava, non denunciava, non rilasciava interviste e non ambiva partecipare all’Isola dei famosi o comparire a Annozero di Santoro. Sembra di sognare, eh, caro Bonocore?

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