Queste riforme piacerebbero a Craxi

Queste riforme piacerebbero a Craxi

Francesco Colucci *

Sarebbe fin troppo facile in questo 19 gennaio, a sei anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, entrare a gamba tesa nelle polemiche sugli scandali finanziari che hanno di recente messo in crisi l’immagine di una presunta superiorità etica ostentata dai vertici del maggior partito di opposizione, ricordando a tutti, non senza amarezza, la convinzione che lo stesso Craxi espresse, con lealtà e coraggio, in uno dei suoi ultimi discorsi alla Camera, il 29 aprile 1993 e cioè che la verità avrebbe finito prima o poi per farsi strada.
Ma la grande lezione umana e politica che ci resta di Craxi ed il modo più degno di mantenerne viva la memoria consistono in primo luogo nel ribadire il valore di una costante tensione verso una progettualità politica di ampio respiro, non invischiata in polemiche sterili ma attenta all’esigenza primaria di far progredire il Paese e con esso di promuovere il rinnovamento socialista «che non ha trionfi da celebrare ma solo tanta strada da percorrere con pazienza e con tenacia».
In questa tensione confluiva il suo ideale di un riformismo moderno, che prendesse atto delle potenzialità esistenti nel Paese e le mettesse a frutto. Nel medesimo ideale si sostanziava inoltre la sua cultura della governabilità e della responsabilità per le scelte compiute nella consapevolezza che «ogni equilibrio politico che voglia garantire stabilità ed esprimere un corso di rinnovamento riformatore non potrebbe non cercare di ancorarsi ad un saldo ed esplicito consenso popolare».
Un sensibile progresso distingue l’Italia odierna da quella che si trovava ad affrontare gli anni Novanta. Pur fra aspre difficoltà, l’attuale maggioranza di governo ha assicurato nei cinque anni della legislatura che si chiude quella «democrazia governante» che Craxi auspicava come premessa indispensabile per portare a compimento un programma di riforme realmente condiviso e tale da poter contrapporre capacità di decisione ai dogmi ed ai pregiudizi di una vetero-sinistra, «tanto rumorosa e sferzante, quanto velleitaria e poco concludente».
In campo economico, sociale ed istituzionale sono state compiute chiare scelte riformatrici rimettendo in moto le opere pubbliche attraverso le previsioni della legge Obiettivo, riformando la scuola e l’università, sbloccando il mercato del lavoro anche nelle aree tradizionalmente affette da cronica disoccupazione strutturale, avviando una importante riforma istituzionale, ponendo le basi per una maggiore garanzia del risparmio e guadagnando nuovamente all’Italia l’apprezzamento positivo della Commissione europea per gli interventi di risanamento e riequilibrio della finanza pubblica.
E tutto questo è stato fatto con grande e doveroso senso di responsabilità, cercando sempre con impegno di mantenere fede agli impegni assunti verso gli elettori. È così che, recuperando i contenuti salienti di un moderno riformismo democratico e liberale preconizzato da Craxi, la coalizione di governo ed al suo interno Forza Italia hanno potuto rappresentare il punto di approdo e di fusione costruttiva di tante esperienze diverse e di tradizioni e culture politiche che la realtà stessa si è incaricata di far evolvere verso una radicale trasformazione.
Tutto questo ha giovato alla crescita di una cultura di governo condivisa che, sviluppando la riflessione e l’esempio delle più eminenti figure politiche a cui si deve la ricostruzione delle nostre istituzioni democratiche, ha trovato in tempi più recenti proprio nel pensiero di Craxi una particolare ricchezza e molteplicità di significati.
Nei 651 provvedimenti legislativi che caratterizzano i circa quattro anni di durata dei due Governi da lui guidati, fra il 4 agosto 1983 ed il 3 marzo 1987, si possono rileggere le linee portanti del suo progetto complessivo di modernizzazione del Paese e della sua volontà e capacità di attuarlo.
Quei provvedimenti delineano una manovra strategica che comprende il controllo dell’inflazione e la politica dei redditi, la riforma tributaria; la riduzione degli squilibri regionali e la promozione del Mezzogiorno; la ridefinizione delle politiche assistenziali in termini di compatibilità con gli equilibri di bilancio; il rilancio dell'edilizia abitativa, la lotta alla droga, la riforma dell'istruzione superiore ed universitaria, lo snellimento delle procedure giudiziarie, la delegificazione ed il rafforzamento del potere decisionale dell'Esecutivo.
Tutti aspetti inscindibili di un progetto coerente per conseguire l'obbiettivo che aveva con ambiziosa lungimiranza indicato nel titolo della sua prima relazione da Segretario del Psi nel 1976: «Costruire il futuro».
Un futuro rispetto al quale - come era solito ripetere - tanto più sarà incentivato ad agire e ad intraprendere iniziative coraggiose chi dovrà viverlo e gestirlo in prima persona. Di qui un ultimo aspetto determinante e spesso sottovalutato della sua cultura di governo: la consapevolezza della necessità di un ricambio generazionale nella rappresentanza politica.
Tutto quello che in questi anni è stato possibile progettare e costruire, secondo una linea autenticamente riformista nei più diversi ambiti d’incidenza dell’azione di governo, non va regalato a coloro che pur di appropriarsi ad ogni costo dell’eredità culturale e della storica funzione politica del riformismo italiano hanno fatto di tutto per logorarne l’immagine e per indebolirne la credibilità di fronte all’opinione democratica del Paese.


Lo dobbiamo a noi stessi, alla nostra coerenza, alla nostra tradizione di pensiero e di impegno culturale e politico. In una parola, lo dobbiamo alla memoria ed alla personalità di Bettino Craxi.
* parlamentare di Forza Italia

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