Questione di ignoranza

Carissimo dott. Granzotto, ieri Papa Benedetto XVI ha deciso di non rispettare il programma secondo cui avrebbe dovuto partecipare, presso La Sapienza di Roma, all’inaugurazione dell’anno accademico. La decisione è stata presa alla luce della forte contestazione scatenatasi all’interno dell’università, per la verità per mano di una minoranza, che però non permetteva di garantire la sicurezza, non al Papa, bensì ai civili che sarebbero confluiti in loco per partecipare all’evento. Ora i motivi della scelta papale sono chiari, cristallini. Quello che è oscuro è il motivo della contestazione, le accuse mosse al Pontefice, insomma il perché di tutto questo rumore. Galileo, libertà dei saperi, autodeterminazione le parole d’ordine più diffuse tra i manifestanti. Ma di cosa parlano?


Veramente, caro Alvaro, la parola più udita e scritta su striscioni, manifesti, tazebao autogestiti, è stata «cultura». Della quale evidentemente i manifestanti si sentivano, si sentono i depositari e i guardiani. Pronti ad alzare le barricate se mai qualcuno azzardasse ad attentarla. Il fatto è che nei vari tiggì li abbiamo sentiti esporre le proprie ragioni e, con rispetto parlando, le proprie idee. Abbiamo visto - questo è il bello della civiltà dell’immagine - le loro facce, i loro sguardi, le loro fronti. E senza tirare in ballo il maestro Manzi, quello di «Non è mai troppo tardi», o Cesare Lombroso, che sarebbe troppa grazia, i conti non tornavano. Va bene che c’è anche la cultura dell’abbacchio a scottadito, la cultura dello spinello, quella della rava e quella della fava, va bene anche che a Dario Fo abbiano assegnato il Nobel per la cultura. Eppure persino così, persino ridotta la cultura a fregnacciume di consumo, i conti non tornavano. Emergeva infatti una palese incompatibilità non dico fra il concetto, ma fra il semplice suono della parola «cultura» e le argomentazioni e il sembiante di coloro che in tivvù se ne dichiaravano cultori e sentinelle. Di coloro che avevano detto no al «dottor Ratzinger», come lo abbiamo sentito chiamare dai sanculotti della Sapienza.
Vede, caro Alvaro, per la raccolta dei pomodori o per i servizi domestici ormai ci dobbiamo rivolgere agli extracomunitari. E fin qui, pazienza. Ma che ci si sia ridotti a ciò per aver dissennatamente sottratto braccia alle zappe e al Mocio Vileda onde catapultarle negli atenei coi risultati che abbiamo sott’occhio, no, questo non va. Quella emersa alla Sapienza non è questione di Papa o non Papa, di Galileo o non Galileo, di laicismo o non laicismo.

È questione di ignoranza crassa: la reazione dei pasdaran alla annunciata lectio di Benedetto XVI è figlia dell’asineria a sua volta madre della villania. Lo scandalo non sono le barricate contro il «dottor Ratzinger», ma che si consenta ai barricadieri di dirsi studenti - studenti! - universitari. Ai campi, ai lavelli, che ce n’è tanto bisogno.

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