Ma a questo processo non si doveva nemmeno arrivare

Se avesse rispettato il codice, la Procura avrebbe dovuto chiedere l'archiviazione dell'inchiesta contro il fidanzato di Chiara

Diciamoci la verità: se a Vigevano fosse stato applicato davvero il codice di procedura penale, sarebbe stata la Procura della Repubblica a chiedere l'archiviazione dell'indagine a carico di Alberto Stasi. Perché in questo paese - almeno in teoria - quando il pubblico ministero si rende conto che non ci sono le prove sufficienti a processare un indagato, ha egli stesso il dovere di chiedere che l'inchiesta a suo carico sia archiviata.
Certo, ci sarebbe voluta una bella dose di umiltà, dopo il pirotecnico arresto dell'indagato ad un mese dall'uccisione di Chiara Poggi. Quella svolta fasulla (tanto fasulla che la presunta prova che incastrava Alberto, le tracce di sangue sui pedali della sua bici, è progressivamente svanita anche dagli argomenti dell'accusa) venne venduta ai media come la fine del film, la soluzione del giallo, la «pistola fumante» che incastrava il perfido assassino dagli occhi troppo chiari. I media abboccarono quasi in blocco. Dal giorno dei funerali, d'altronde, i carabinieri di Vigevano non facevano altro che soffiare all'orecchio dei cronisti indizi veri o fasulli che portavano tutti in direzione di Alberto. Un'opinione pubblica scandalizzata e un po' morbosa si trovò con il suo mostro confezionato e servito in diretta.
Da quel momento in avanti, la Procura della Repubblica di Vigevano è rimasta sempre più prigioniera del mito che essa stessa aveva creato, e vi si è avviluppata sempre di più, seguita - anche se con qualche incertezza, qualche distinguo - dai media. Ancora oggi, tra gli articoli che preannunciano la sentenza, si legge che Stasi è incastrato dalle sue impronte sul portasapone di casa Poggi, come se non fosse del tutto normale che un ragazzo presenza fissa della villetta del delitto, e che vi aveva trascorso quasi tutto il pomeriggio precedente, si lavasse almeno una volta le mani.
Eppure un sussulto di correttezza avrebbe dovuto portare la Procura a fare abiura della sua ostinazione, riconoscere di avere imboccato con troppa determinazione una sola pista, tralasciando qualunque altra ipotesi investigativa, e di avere disseminato in questa ostinazione una impressionante serie di errori. Così si è arrivati allo spettacolo surreale delle ultime settimane: man mano che i periti nominati dal gip demolivano una dopo l'altra le certezze dell'accusa, la Procura spostava in avanti e indietro l'ora del delitto a suo piacimento, nella ricerca disperata di una finestra temporale per incastrare il suo colpevole obbligato. Non è stato un bello spettacolo.
La sentenza del giudice preliminare Vitelli fa giustizia di questa inspiegabile e ingiusificabile ostinazione.

Nessuno può dire con certezza se Stasi è colpevole o innocente, ma la sentenza ratifica quello che ormai era sotto gli occhi di tutti, e cioè che contro di lui non c'era lo straccio di una prova. Ha avuto la fortuna di trovare dei bravi avvocati e un bravo giudice. Una fortuna che, purtroppo, non è riservata a tutti.

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