«Qui il terreno è impermeabile» Ecco perché Chiaiano può aprire

da Napoli

Potremmo aprire e chiudere la questione sulla agibilità della Cava di Chiaiano a poter ospitare una discarica, marchiando sul tufo due numeri: uno ad una cifra, l’altro a tre cifre. Quello ad una cifra è un 2, come i metri che, in base alla legge, devono separare una discarica dalla falda acquifera. Il numerone a tre cifre è un 155. Tanti sono, infatti, i metri che separano la base della futura discarica di Chiaiano dalla falda acquifera. Una enormità, una «barriera» non solo di tufo, come vedremo, ma composta anche da altri materiali e ben settantasette volte (circa) più profonda. Quella sostanza terribile, giustamente temuta dalle popolazioni di Chiaiano, Marano e Mugnano, che si chiama percolato non potrà mai superare quella «blindatura» di 155 metri. Ma non è tutto. Dalle carte dell’Arpac emergono altri dati rassicuranti, acquisiti grazie alle trivellazioni che ancora proseguono nella cava di cui è proprietaria l’Arciconfraternita dei Pellegrini e, quindi, la Curia di Napoli. La stratigrafia del sottosuolo ha rivelato che, sotto 60 metri di tufo, vi sono oltre 20 metri di materiali classici della geomorfologia campana e, più sotto ancora, altri 5 metri di Paleotipo (pietra lavica).
Per gli esperti, il Paleotipo è il migliore impermeabile possibile, una garanzia assoluta, «la gente può dormire sonni tranquilli, le falde acquifere sono al sicuro», dice un tecnico dell’Arpac, smentendo i timori dichiarati dei periti dei «no discarica». Ma i conti non tornano, non siamo ancora a quota 155 metri di profondità. Sotto il Paleotipo c’è un «muro» di altri trenta metri di materiali classici della geomorfologia campana e, infine, una quarantina di metri di lava. Sotto questo grattacielo blindato di 50 piani, c’è l’acqua. E sopra a questo grattacielo verrà steso un «tappeto» per dare maggiore impermeabilità al pavimento di tufo, una guaina simile a quelle che verranno utilizzate per le due discariche in via di ultimazione di Sant’Arcangelo Trimonte (Benevento) e di Savignano Irpino (Avellino). Quindi, certificata l’impossibilità dell’inquinamento delle falde acquifere, non sono a rischio la salute dei cittadini e le ciliegie dell’Arecca, «nate» in Spagna, ma portate in Campania dai Borbone. Tutto questo sarà sufficiente al sottosegretario all’Emergenza rifiuti in Campania, Guido Bertolaso, per far capire alle genti di Chiaiano, Marano e Mugnano, che la cava della Curia è sicura? Ce la farà a convincere i sindaci, i presidenti di municipalità e il popolo del «no» l’uomo che di fatto sta commissariando il Comune di Napoli e, soprattutto, la Regione Campania - al cui vertice c’è l’imputato Antonio Bassolino -, ovvero i massimi responsabili di questo sfascio che sta facendo vergognare tutta l’Italia dinanzi al mondo intero?
Appena tre giorni fa, infatti, un nuovo schiaffo dal New York Times, che ha dedicato una pagina intera all’emergenza rifiuti in Campania. Titolo «Una zaffata di Napoli arriva ad Amburgo», ovvero la città di Iervolino e Bassolino e la città tedesca, l’ultima e la prima in classifica in quanto ad efficienza nella gestione dello smaltimento dei rifiuti.
Chiarito il dubbio più importante sulla tenuta della discarica, ne restavano altri, e cioè una via di accesso alla cava e la disomogeneità delle quattro pareti, che vanno da un minimo di 20 metri di altezza ad un massimo di 70. Se il «secchio» dovesse essere alto 20 metri, la capienza scenderebbe da 700mila tonnellate a 150mila. Una risposta a questo problema la fornisce il presidente della commissione Agricoltura, Paolo Russo.

«Da un punto di vista ingegneristico non c’è nessuna difficoltà, e neppure economicamente parlando. Una volta garantita la tutela della salute dei cittadini, se Napoli partecipa con una discarica nessun’altra realtà della Campania potrà sottrarsi ai propri doveri».

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