Il caso Garofani è stato trattato come un preludio a un colpo di Stato. Versione 1: Mattarella contro Meloni. Versione 2: la Russia contro Mattarella. In realtà, usando il rasoio di Occam secondo cui la soluzione semplice è quella giusta , il guazzabuglio appare per ciò che è: l'esito di una cena, qualche bicchiere e un consigliere che, secondo un amico presente, ha trasformato una conversazione politica in un teatrino da osteria. La cosa sorprendente non è ciò che Garofani avrebbe detto, ma che qualcuno abbia pensato di riferire tutto, come se avesse scoperto i codici nucleari.
Partiamo dal punto essenziale: Sergio Mattarella non è il tipo. Non trama, non ricama, non gioca a Risiko nelle retrovie della Repubblica. È un uomo asciutto, rispettoso, che considera la Costituzione un dovere quotidiano, non un palcoscenico. Trascinarlo in questa storia, anche solo per allusione, è un'ingiustizia.
Stefano Garofani, a sua volta, ha sempre avuto fama specchiata: serio, competente, stimato. Può aver parlato con leggerezza? Certo. Può aver fantasticato? Possibile. Ma non è né Metternich né un Rasputin da corridoio.
Il problema, infatti, non è lui: il problema è l'amico seduto a tavola, che ha pensato fosse moralmente elevato trasformare confidenze in prima pagina, come se il privato non esistesse più. Poi ho visto che il caso veniva montato come una meringa Belpietro, direttore de La Verità, di solito freddo come un chirurgo, stavolta ha gonfiato l'albume fino
a farlo sembrare un uragano sudamericano e ho capito che eravamo entrati nel territorio della Repubblica delle Banane. Niente di nuovo: in Italia le micro-vicende diventano maxi-allarmi mentre le vere bombe, quelle geopolitiche, esplodono quasi in silenzio.
Tuttavia capisco perfettamente perché la destra si sia agitata: la memoria conta. I precedenti ci sono, eccome se ci sono. Torniamo al 1994. Berlusconi era appena sceso in campo, non aveva ancora vinto le elezioni, e già al Quirinale si respirava inquietudine. Il 22 gennaio di quell'anno Carlo Azeglio Ciampi, allora premier, annota nel diario una cena a casa del Segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, riportando testualmente le parole di Oscar Luigi Scalfaro: «Il presidente auspica un fronte tipo Comitato di Liberazione Nazionale contro il fenomeno Berlusconi». (Gentiloni Silveri, Gli anni di Ciampi, p. 63)
Non è una voce, non è un sospetto, non è un retroscena inventato: è un fatto storico. E allora sì: con questi precedenti, quando un quotidiano titola su un consigliere del Quirinale che discute di strategie contro il governo, è inevitabile che una parte del centrodestra chieda rassicurazioni. Non per paranoia, ma perché conosce la storia. Resta però la verità più semplice: Meloni e Mattarella non sono interpreti da teatro dei pupi. Non fanno mosse di cortile, non vivono nel mondo delle ombre cinesi. Sono due figure serie, adulte, responsabili. Giorgia Meloni è solida, radicata, protetta da un consenso reale. Sergio Mattarella è impermeabile ai giochetti. Fine della storia.
Il caso Garofani, semmai, mostra un'altra patologia: l'Italia che trasforma le conversazioni private in materia esplosiva. Ai tempi di internet tutto viene amplificato: il sussurro diventa sparo, l'opinione diventa complotto, la cena diventa inchiesta. Ma così si distrugge la libertà.
Ed è qui che torna utile Milan Kundera, che aveva capito tutto prima di tutti: «Quando una conversazione tra amici davanti a un bicchiere di vino viene resa pubblica alla radio, questo significa una sola cosa: il mondo si sta trasformando in un campo di concentramento».
E sì, permettetemi una battuta che non riesco a trattenere: «Uno che organizza così l'Invincibile Armata della catto-sinistra che cosa consiglierà nel Consiglio Supremo per difendere la Patria dalle atomiche russe o cinesi? Di rispondere con una veglia di preghiera e un tavolo di confronto?».
La verità è molto meno epica: Garofani ha parlato troppo. L'amico ha parlato peggio.
Il sistema mediatico ha parlato più del dovuto. Nessuna trama, nessun golpe, nessuna manovra nascosta. Una bolla di sapone scambiata per una bomba. E l'Italia, come sempre, pronta a correre dietro ai fantasmi mentre i problemi veri bussano alla porta.