Roma

Al Quirino «Evadere» con il teatro

Evadere sì, ma con il teatro. Oppure varcare i confini del carcere passando attraverso le tavole di un palcoscenico. Grazie al progetto «In scena diversamente insieme» del Teatro Quirino e Fondazione Roma Terzo Settore, la compagnia «Evadere Teatro» della sezione G8 del Carcere di Rebibbia (quella dei detenuti di lunga pena) esce per la prima volta dal teatro penitenziario per debuttare su un palco «libero», il 26 maggio, con lo spettacolo «Viaggio all’Isola Sakhalin», tratto da Anton Cechov e Oliver Sacks.
Frutto di uno dei tre laboratori teatrali «In scena diversamente insieme» (questo rivolto ai detenuti, il secondo a persone con disagi e giovani attori e il terzo ad anziani, diversamente abili e normodotati), lo spettacolo della compagnia «Evadere Teatro» sarà il primo ad andare in scena, grazie al sostegno della Fondazione Roma Terzo Settore, dove per «terzo settore» si intendono «organismi di natura privata che perseguono finalità sociali senza scopo di lucro, andando a colmare le lacune dell’attività pubblica», spiega Alessandra Taccone, segretario generale della Fondazione. Fondamentale, per realizzare il sogno dei detenuti, è stato anche l’impegno del direttore del carcere di Rebibbia Carmelo Cantone, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, della Magistratura di sorveglianza e del corpo della Polizia penitenziaria.
«Io sono profondamente convinto che tra cinquanta o cento anni si guarderà all’ergastolo con la stessa perplessità con cui oggi guardiamo all’applicazione della tortura», scriveva Cechov quando, nel 1890, visitò la colonia penale siberiana nell’esercizio della sua professione medica. Questa esperienza, alla base dello sconvolgente reportage del drammaturgo russo, ha ispirato lo spettacolo dei detenuti di Rebibbia insieme con la rilettura di una delle più straordinarie esperienze dello scienziato cognitivo Olivier Sacks che incontrò uomini e donne resi ciechi ai colori, a causa della reclusione e dell'isolamento. La singolare malattia ha un nome, acromatopsia, e costringe a vedere il mondo in bianco e nero.
Il risultato di queste due riletture è il racconto di storie forti e drammatiche che giungono allo spettatore emergendo con naturalezza e senza strumentalizzazioni e che, paradossalmente, non hanno perso la capacità di far sorridere.

E di tornare a vedere il mondo a colori.

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