Quote rosa: Fini deciso a dar battaglia

Fabrizio de Feo

da Roma

I toni di Gianfranco Fini sono tranchant. «Il disegno di legge per le quote rosa non ha carattere simbolico o propagandistico» e non è un provvedimento «a perdere». «An farà tutto quello che potrà perché venga approvato». Una dichiarazione di buona volontà e una promessa di disciplina parlamentare a cui nei giorni scorsi Carlo Giovanardi (tra coloro che in Consiglio dei ministri si sono esposti votando contro il ddl insieme a Giuseppe Pisanu e Antonio Martino) ha replicato così: «A mia figlia Chiara, se parlo di quote rosa, scappa da ridere: e anche a me. Voglio proprio vedere quanti voti prende in Parlamento... ».
Il ping pong, insomma, continua con i due «partiti» contrapposti dei favorevoli e contrari impegnati a tenere la posizione. Gli umori parlamentari, le voci dal sen fuggite, le chiacchiere da Transatlantico, però, illustrano già con chiarezza l’emergere di una situazione del tutto analoga a quella che portò alla bocciatura dell’emendamento sulle quote rosa. Anzi, tra i parlamentari di Lega e Udc - ma non mancano adesioni anche da An e Forza Italia - sono già iniziati i contatti per organizzare una «strategia di difesa comune» e ripetere lo «scherzetto» della volta precedente. «Credo che il Parlamento abbia espresso in maniera chiara la sua opinione riguardo le quote rosa. Non è che a distanza di poche settimane la ratio e la sostanza di quel voto sia cambiata», spiega un parlamentare azzurro. E un deputato di An, di rimando: «Non è passato l’emendamento, figuriamoci se passa un disegno di legge. Al primo voto segreto viene impallinato. Devono capire che l’unica speranza per far passare il principio delle quote è un gentlemen’s agreement tra i leader per avere una rappresentanza femminile di buon livello e quantità nelle liste ma senza quote fisse e vincolanti».
La norma è, in realtà, più blanda della prima versione bocciata alla Camera.

Prevede, infatti, che le liste siano composte da una buona percentuale di donne e che queste abbiano una posizione adeguata in lista attraverso la regola del 3-1, «ogni tre persone dello stesso sesso ce n’è una di sesso diverso». Un principio che ancora fatica a far breccia nei cuori dei parlamentari maschi.

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