La rabbia di Bush: «Soccorsi inaccettabili»

Poi un’iniezione di fiducia: «Ricostruiremo tutto, New Orleans tornerà a essere una grande città»

La rabbia di Bush: «Soccorsi inaccettabili»

Silvia Kramar

da New York

Davanti alle immagini di una New Orleans devastata dall’uragano Katrina, in una città caduta in mano all’anarchia, alla violenza delle gang che scorrazzavano su camioncini, alla luce del sole, armate di mitra e bazooka come i «war-lord» africani, davanti a una città inginocchiata dalla fame, la sete, la disperazione ed episodi di violenza sessuale su donne e bambini, il presidente George Bush ha finalmente messo da parte l’ottimismo, per accusare la sua amministrazione di aver fatto troppo poco e troppo tardi.
Davanti a questa città moribonda scomparsa sotto l’acqua, con decine di migliaia di persone abbandonate a se stesse come animali, in un incredibile genocidio americano, il presidente ha sfoderato ieri un tono e una rabbia molto diversi dai sorrisi commossi che aveva offerto alla nazione dopo aver sorvolato la zona colpita, a bassa quota, sull’Airforce One, mercoledì pomeriggio.
L’America osservava inerme questo disastro di proporzioni bibliche e la rabbia aumentava, mentre a New Orleans arrivavano trecento soldati della Guardia Nazionale, appena tornati dall’Irak, seguiti da un convoglio di mezzi militari lungo dodici chilometri (un funzionario del Pentagono ha annunciato ieri, usando un’espressione del Far-west, che «la cavalleria stava arrivando»). Unendosi all’insoddisfazione nazionale, Bush ha ammesso che i risultati dei soccorsi, finora, «non sono stati accettabili. Prenderemo noi in mano la situazione, saremo lì per chi ha bisogno di aiuto poiché ogni vita umana è preziosa», ha promesso prima di salire a bordo dell’elicottero Marine One insieme al Segretario della Homeland Security, quel Michael Chertoff che fino a una settimana fa si era dedicato giorno e notte alla caccia ai terroristi. Insieme, sono andati a visitare le zone colpite: 160 chilometri quadrati di un Golfo del Messico che non sarà mai più quello di domenica scorsa, quando televisioni, radio e polizia avevano disperatamente chiesto a tutti di abbandonare paesi e città.
Ma l’America adesso si sente tradita: l’indice di popolarità di Bush è sceso ai minimi storici e probabilmente non cambierà rotta: «Dovete capire che gli americani si sveglieranno ogni mattina, per mesi e mesi, vedendo le immagini di quella zona distrutta e ascoltando le storie dei rifugiati», ha spiegato Charles Magg, professore di Scienze politiche di New York. «Se fino a ieri credevano di essere protetti da un altro possibile attacco terroristico, adesso quell’ottimismo è scomparso».
Gli americani ieri hanno anche letto sui giornali un’altra notizia preoccupante. E cioè che già da anni, ben prima dell’undici settembre, la Fema, l’agenzia nazionale che si occupa di prevenire e analizzare i possibili disastri naturali, aveva presentato alla Casa Bianca la lista dei tre rischi più grossi per gli Stati Uniti: un attacco terroristico su New York; il «big one», ovvero il terremoto che prima o poi, inevitabilmente, colpirà San Francisco e un uragano, proprio come quello battezzato e che ha adesso distrutto New Orleans.
Così ieri, atterrato col suo elicottero a Mobile, Alabama, per incontrarsi con i tre governatori degli stati colpiti - Louisiana, Mississippi e Alabama - Bush si è letteralmente rimboccato le maniche e ha ammesso che «l’intera zona è stata distrutta, come se si fosse abbattuta sulla terra del Mississippi la peggior arma nucleare che si possa immaginare».
Dopo aver ringraziato governatori e militari per «aver dedicato ogni minuto degli ultimi giorni a salvare il sud», Bush ha finalmente optato per una nota di ottimismo: «Risolveremo qualsiasi problema», ha promesso, «Ricostruiremo l’intera zona, New Orleans rinascerà e sarà una grande città».
Alcuni repubblicani spingono per affidare le operazioni a un uomo adeguato: l’ex portavoce della Camera Newt Gingrich e il deputato di New York John Sweeney hanno proposto l’ex sindaco della «Grande Mela» Rudolph Giuliani, che aveva gestito l’emergenza dell’11 settembre. Altri vorrebbero l’ex segretario di Stato Colin Powell e l’ex comandante delle truppe Usa in Irak Tommy Franks.


La first lady Laura intanto ha visitato un’arena di Lafayette, in Louisiana, il Cajundome, per portare parole di conforto alle famiglie dei rifugiati, mentre il direttore della Fema, Michael Brown ammetteva di fronte al presidente che «il 90 per cento di New Orleans ormai è perso». Poi Bush si è recato a Biloxi, nel Mississippi per camminare tra le rovine della contea di Harrison.

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