La rabbia dei cittadini il giorno dopo: «Quei criminali volevano uccidere»

La città conta i danni. Il vicesindaco De Corato: «Il Comune si costituirà parte civile contro i guerriglieri dell’Unione»

Gianandrea Zagato

da Milano

Clic all’edicola semi-bruciata. Clic al bancomat distrutto. E pure clic anche al McDonald preso d’assalto. La gente comune immortala sul telefonino le tracce, i residui del mezzogiorno di fuoco, della guerriglia che bruciava nel cuore di Milano. Corso Buenos Aires, ventiquattrore dopo. «Lo scriva: ammazzateli. Quelli là, i centri sociali sono covi di delinquenti che non meritano alcun rispetto. Gentaglia da mettere dietro le sbarre» urla il negoziante («ma il nome non lo scriva») che, sabato, solo per miracolo non ha visto le sue sue vetrine in mille pezzi come McDonald.
E lì, nel regno dell’hamburger, c’è chi servendo panini e patatine fritte, racconta la «malaparata»: «Ho visto un signore tirato giù con forza dalla macchina e la sua vettura data alle fiamme. Io? Ho lasciato il bancone e sono scappato dietro, in fondo quasi in bagno». Mamme, papà e bambini inghiottono in silenzio, qualcuno esplode: «Dio mio, per fortuna non c’eravamo» ma un altro ribatte «be’, speriamo che a bruciare sia stata la macchina di uno di sinistra, così capisce». Augurio accolto senza disapprovazione, mentre dall’altra parte della strada c’è chi osserva sconsolato quel bancomat del Banco di Sicilia reso inutilizzabile, «ruba ai poveri» c’è scritto: «Ragazzi, ma in che mondo vivono ’sti qua» confida un signore che all’An point ha appena firmato l’albo della solidarietà alle forze dell’ordine, «mi piacerebbe vedere il 740 di Caruso, Casarin e compagnia cantante: poveri? Ue’, ho settant’anni e so come va la vita, so che quelli lì vivono nella bambagia, coccolati e vezzeggiati».
Argomentazioni che Riccardo De Corato ascolta e non commenta: «Il Comune è a fianco dei danneggiati, proporrò la costituzione di parte civile contro i guerriglieri della coalizione di Romano Prodi» urla il vicesindaco nel megafono. Applausi della gente che alla passeggiata domenicale in Montenapoleone o in via della Spiga preferisce ripercorre invece le tappe della devastazione lungo Buenos Aires. Occhi puntati al particolare, al palo divelto o al cassonetto carbonizzato gettato in un angolo di piazzale Lima, «mi chiedo perché questo comportamento, dicono per impedire la manifestazione dei fascisti ma quello che hanno fatto è fascismo», «che dici? quelli sono co-mu-ni-sti tutti d’un pezzo».
Mozziconi di battute mentre da un manifesto sei-per-te campeggia un interrogativo: «Che Italia sarebbe con la sinistra? Meglio non saperlo». Risposta che fa sorridere amaramente un vecchio partigiano: «Anch’io spero non sia questa. Anzi, non può essere questa» e giù con la spiega del «perché» e del «per come» «noi, nel 1945, volevamo un’altra Italia». Parole che un netturbino commenta: «Signore, ma lei dove vive? Da due ore sto raccogliendo bulloni, biglie e chiodi lunghi anche venti centimetri. Gli autonomi volevano uccidere, capito? Uccidere».
Già, erano armati fino ai denti nel nome dell’antifascismo militante e «volevano uccidere».

Leitmotiv che si ripete di bocca in bocca lungo l’arteria commerciale di Milano, dove la ferita di sabato fa fatica a rimarginarsi e dove c’è chi butta nel cestino quel giornale che pubblica l’intervista a Dario Fo, «ma le pare intelligente sostenere che “quei ragazzi volevano solo farsi sentire”? Un premio Nobel può dire simili vaccate?». Le immagini riprese dal telefonino lo smentiscono. La gente comune non ascolta né lui né i suoi bravi «ragazzi» protagonisti di un film inguardabile.

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