
La raccolta del teatro di Giovanni Raboni (Milano 1932- 2004) «Teatro, Testi, Traduzioni», pubblicata negli Oscar Mondadori, a cura di Massimo Natale, va accolta con molta soddisfazione perché mette a disposizione dei direttori di teatro, di registi e attori, un materiale utile per poter riproporre dei testi che hanno una loro vitalità, trattandosi di opere di poesia, ovvero di un teatro costruito sul potere e sul senso della parola. Chi scrive, ha visto tutto di Raboni, in alcuni casi ne è stato anche partecipe come, per esempio, per la traduzione del «Don Giovanni», andato in scena al Teatro Nazionale, quando convinsi l'ingegnere Giordano Rota a produrlo, con la regia di Mario Morini che ebbe la felice idea di coinvolgere, nella parte di Leporello, Diego Abatantuono, certamente più noto del pur bravo protagonista Lino Troisi. L'avventura teatrale di Raboni inizia proprio in quel lontano 1984, lo stesso anno in cui Luca Ronconi gli chiese la traduzione di «Fedra», che sarà prodotta dallo Stabile di Torino, con Annamaria Guarnieri, ripresa dallo Stabile di Genova, regia di Marco Sciaccaluga, con Mariangela Melato, ed ancora in scena, nella versione di Federico Tiezzi, in questa stagione, con Elena Ghiaurov.
Di Racine, tradusse anche: «Berenice», «Atalia», «Ester». Fui ancora io, come membro del Consiglio di Amministrazione dell'Inda, l'Istituto nazionale del dramma antico, a proporre la sua traduzione di «Antigone» a Giulio Bosetti. Dei classici greci, tradusse anche «Ecuba», per la regia di Massimo Castri, al Teatro di Roma. Raboni non traduceva autori che non gli piacessero, amava i poeti della scena, come Claudel, di cui tradusse «Partage de Midì», per Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah che, oltre alla regia, partecipò all'adattamento, di cui ricordo anche la bellissima scena di Ettore Sottsass. E ancora Marivaux, Eliot, «Ruy Blas» di Victor Hugo, «La morte di Tintagiles» di Maeterlinck, «Il mercante di Venezia» di Shakespeare.
Dicevo dell'interesse di Raboni per il teatro di parola, anche se non disdegnava il teatro del corpo, non amava, però, il teatro virtuale, tanto da sostenere che «la battaglia contro il prevalere della virtualità sia indispensabile». Personalmente ho un debole per testi scritti da lui come «Rappresentazione della croce», commissionato da Pietro Carriglio che ne curò anche la regia, in occasione del Giubileo del 2000, con Giulio Brogi, Remo Girone, Ilaria Occhini, Pamela Villoresi. Per l'occasione, Raboni preferì rifarsi ai temi delle sue poesie giovanili, di impostazione religiosa, e scrivere un «Vangelo» con protagonisti i testimoni, in particolare Giuda che, nello spettacolo, dirà una frase che si impresse nella mia memoria, a proposito del suo tradimento: «Non chiedetemi perché, vi prego, l'ho fatto perché mi andava farlo..., l'ho fatto per amore». Prudentemente, Raboni aveva rinunziato non solo alla presenza di Cristo in scena, ma anche ad ogni forma di agiografia.
L'altro testo che ritengo un capolavoro e che vorrei rivedere ancora in scena è «Alcesti o la recita dell'esilio» che debuttò al Teatro Santa Chiara di Brescia, con la regia di Cesare Lievi, nel 2004, a distanza di poche settimane dalla sua morte.
Protagonisti sono Sara, Simone e Stefano che, per sfuggire a una dittatura, si nascondono in un teatro abbandonato, dove attendono qualcuno che li porti in salvo, solo che c'è il posto per due. Sarà Sara, come l'Alcesti del mito, a sacrificarsi. Raboni ricorre ai versi liberi di sette, nove e undici sillabi combinati in modo tale da restituire, alla parola, il ritmo del parlato.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.