"Racconto la mamma per ritrovare la patria"

Paolo Virzì: "Volevo fare un film su qualcosa a cui voler molto bene per non sentirmi più in esilio". Da venerdì nelle sale la commedia autobiografica se la vedrà con "Avatar": "Ma è una sfida impari". Nel cast Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli e Claudia Pandolfi

"Racconto la mamma per ritrovare la patria"

Roma - Il papà Stato non c’è, con la sua politica che delude gli individui, ma in compenso c’è tanta madre famiglia, pure con i suoi risvolti violenti, nel nuovo film di Paolo Virzì, La prima cosa bella (da venerdì nelle sale con 400 copie), ieri accolto dal lungo applauso affettuoso degli addetti ai lavori, stremati, ma grati, dopo due ore di nodo alla gola. Perché non c’è niente da fare: quando si affonda il piede nel terreno familiare, cercando di tirarsi fuori da odio e melassa, cose non dette e segreti rimossi, madri devastanti e padri incolori, è bello scoprire quanto pesino, nel bene e nel male, gli affetti più profondi.

Se poi c’è di mezzo un cast formidabile, con una Micaela Ramazzotti che sbalza, allegra e precisa, la figuretta carnale di Anna Nigiotti in Michelucci, una mamma leggermente zoccola nella Livorno degli anni Settanta, misurandosi con la navigata Stefania Sandrelli, che fa Anna nella terza età, mentre Claudia Pandolfi e Valerio Mastandrea impersonano i problematici figli di lei, in un corifeo di colleghi ugualmente bravi (da Marco Messeri a Dario Ballantini, lontano dal suo «Valentino» tv), il dado è tratto: si fa vero cinema. Tanto più gradito quanto più a ruota dei commerciali film natalizi.

«È il kolossal livornese, un film sullo struggimento della famiglia Michelucci, dove circola solo l’umanità, la cosa che noi registi italiani sappiamo fare meglio. Guardo ad Avatar come a una cosa interessante e credo che mi piacerà molto. Mi dicono che è un film politicamente corretto e anti-tecnologia... Anche Titanic mi era piaciuto. Ma io sono un po’ donnicciola: m’interessano solo le storie sentimentali», scherza Virzì, ipotizzando una copia in 3D de La prima cosa bella, «giusto per vedere se i capelli di Mastandrea aumentano di numero». Oltre la battuta, pare simbolica l’uscita contemporanea del filmone Usa di Cameron, che alza l’asticella dei prodotti made in Hollywood, e del mélo ai lucciconi dell’autore labronico, tutto sentimenti e alto artigianato made in Italy (costumi di Gabriella Pescucci in testa). Da uomo di spettacolo, però, Virzì sa che l’offerta multipla è vitale, «anche perché a Natale c’erano solo due film da vedere», commenta lui, a febbraio padre del suo primo maschietto, un dono della moglie Micaela.

Dopo la famiglia-spezzatino, servita da Carlo Verdone nel blockbuster Io, loro e Lara, ecco che arriva la famiglia-timballo di Virzì, più buona in retrospettiva che là per là. E, soprattutto, tirata al ragù d’una figura femminile, la sexy-mamma eletta Miss allo stabilimento balneare Pancaldi di Livorno, che è l’asso nella manica dell’autore. «Il mio film è un inno alle persone fragili, più che alla famiglia. Questa giovane donna, anche bischera e svitata, ha dentro la poesia del vivere. Come diceva Tolstoj, le famiglie si somigliano, ma ogni famiglia è felice a modo suo», spiega il regista, che ha scritto soggetto e sceneggiatura con Francesco Bruni e Francesco Piccolo. E cade molto, questa mamma sui generis, picchiata e strattonata dal marito carabiniere (il padre del regista lo fu), perché altri maschi la guardano, o le pizzicano il sedere, mentre lei, desiderata suo malgrado, «è di molto bona».

Per recitare in livornese, tra l’altro, la Pandolfi, romana-de-Roma, si è appuntata sul copione certe note fonetiche e Mastandrea, capitolino pure lui, ha ascoltato con attenzione quelli della troupe, tutti livornesi.

Ma che c’è di struggente in questa ballata, che ha nel titolo la celebre canzone di Nicola Di Bari, successo sanremese 1970. Praticamente tutto: gli interni di certe case livornesi povere, ma calde di memoria; lo zucchero filato, che Anna-Sandrelli, malata terminale, mangia di rapina, insieme al figlio, tossico occasionale, durante una fiera cittadina; la musica d’epoca, un matrimonio in articulo mortis, un figlio illegittimo, che spunta dal nulla e ama subito quella madre svitata, quei fratelli spaesati...

«Non è amarcord, né autobiografia. Nasce tutto dal desiderio di fare pace con la vita. Come quando in un momento di sfiducia, quando ci si sente in esilio, s’avverte il desiderio di trovare una patria, un luogo da cui ripartire.

Stefania e Micaela hanno conosciuto mia madre Franca, che sul set portava la schiacciata. Volevo solo raccontare qualcosa, cui volere molto bene», argomenta Virzì, lontano dall’impegno politico di Tutta la vita davanti, ma guancia a guancia con Io la conoscevo bene.

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