Non si nasconde dietro a un dito né cerca di minimizzare il fenomeno. «La competizione tra le agenzie di onoranze funebri è molto accesa e non ci sono limiti allinventiva degli impresari. E le mance a infermieri e addetti agli obitori sono sicuramente una prassi» spiega Giovanni Caciolli, dirigente del sindacato di categoria. «Ma gli ospedali non possono scaricare tutto su di noi, controllino meglio i loro dipendenti e cerchino di informare i parenti dei defunti dei loro diritti».
Segretario nazionale di FederCofit, Federazione comparto funerario italiano, Caciolli non sembra troppo scandalizzato per quanto Il Giornale ha scritto recentemente. In particolare sui trucchi impiegati dagli impresari per accapararsi i clienti. «Sì, confermo: infermieri e addetti allobitorio sono spesso sul libro paga delle imprese funebri. Negarlo sarebbe sciocco. Decine di arresti, intercettazioni, confessioni, condanne e patteggiamenti di questultimo anno e mezzo lo stanno a dimostrare. Perché è vero che effettivamente, arrivare per primi significa chiudere il contratto al 90 per cento: per questo è determinante essere informati in tempo».
Conferma anche che ci sono ditte e cooperative per assistere i malati terminali e poi per trasportare e vestire le salme, organizzate dalle grandi agenzie che in questo modo sanno immediatamente dei decessi?
«Non ne sono a diretta conoscenza ma mi sembra molto credibile. Anzi, forse ci saranno anche altri mezzucci che né io né lei conosciamo: quando si tratta di affari, la fantasia non ha limiti. Ma non perché nelle onoranze funebri operino persone più spregiudicate rispetto altri settori economici. Ma perché la nostra non è unattività di vetrina».
Vuole essere più chiaro?
«Semplice: in altre attività il cliente cerca loperatore, nel nostro settore avviene il contrario. In altri termini, il consumatore decide di comprare un elettrodomestico, un abito, unauto e inizia a guardare le vetrine per trovare lofferta migliore. Nel nostro settore non funziona così, i decessi in una famiglia sono rari e spesso improvvisi, impensabile avere un operatore di fiducia. Quindi dobbiamo essere noi ad andare in cerca del cliente».
Non è un bel motivo per specularci sopra.
«Meno di quel che si creda. Fino a una ventina di anni fa cerano dei bei guadagni, ora molto meno. Guardi lanalisi costi vivi effettuata dal Comune ancora nel 1995: due milioni e rotti, vale a dire mille euro. Ora con mille euro copriamo i costi del funerale gratuito, cioè pagato dalla Pubblica amministrazione agli indigenti, con cassa in legno grezzo da 150 euro».
Va bene, anche voi piangete miseria. Ma i vostri metodi di offrire «provvigioni» a chicchessia appaiono, mi scusi, banditeschi. Come sanare questa piaga?
«Con maggior attenzione da parte delle amministrazioni pubbliche sui loro dipendenti. Le direzioni sanitarie non scarichino sempre tutto su di noi, sanno quel che capita nei reparti e negli obitori: provvedano, vigilino. Stesso invito anche per i comuni. E poi avviino programmi di informazione per i parenti dei defunti. Penso a un opuscolo per spiegare lillegalità del comportamento degli infermieri. E con la lista completa delle imprese di onoranze funebri attive nella zona».
E così riusciamo a moralizzare il settore?
«Non basta, è ovvio. Se è vero che la maggior parte dei traffici avviene dentro gli obitori, dovremmo forse pensare a farli gestire da un consorzio obbligatorio che coinvolga ogni agenzia. In questo modo tutti potrebbero controllare tutto».
Basterà a mutare le cose?
«Le migliorerà. Ci attendiamo molto anche dalle innovazioni che stanno arrivando dallestero come la casa funeraria, unistituzione consolidata in America, che già diverse imprese stanno recependo. Si tratta di uno spazio, creato allinterno dellagenzia, dove famigliari e amici possono vegliare la persona scomparsa. Ma anche da pratiche come tanatoestetica e tanatoprassi, diffusissime in particolare in Francia, per migliorare laspetto dei defunti.
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