Radicali in sciopero della fame: «Ci hanno scippato otto seggi»

Bernardini e Capezzone a digiuno: «Non è una protesta, chiediamo solo che venga rispettata la legalità»

da Roma

A Palazzo Madama l’aritmetica, si sa, è un’opinione. Non bastassero i numeri di una maggioranza ormai aleatoria, da nove mesi a questa parte - ovvero fin dall’insediamento - non è neppure detto che i seggi senatoriali siano stati assegnati alle persone giuste. Otto scranni «ballano» più degli altri: quelli rivendicati dalla Rosa nel Pugno. Una discutibile interpretazione dell’articolo 17 della legge elettorale (che tratta delle modalità di ripartizione dei premi di maggioranza su base regionale) avrebbe sottratto alla pattuglia radical-socialista una rappresentanza di tutto rispetto al Senato, capace di condizionare la maggioranza forse ancor di più dei «ribelli» della sinistra radicale. Sarà per questo che, a colpi di pareri «pro veritate» e rinvii, la questione è ancora in un cul de sac.
La battaglia dei Radicali però prosegue, rilanciata dallo sciopero della fame di Daniele Capezzone, oggi arrivato al diciottesimo giorno. Assieme all’ex segretario, dalla mezzanotte digiuna anche la nuova segretaria radicale, Rita Bernardini. La leader si dichiara «sorpresa, ma fino a un certo punto» per il silenzio «pressoché totale» dei mezzi di informazione su una questione di legalità che vuole richiamare le istituzioni al «rispetto delle loro stesse leggi». A rafforzare il diritto della Rosa nel pugno sugli otto seggi, precisa la Bernardini, si sono già espressi il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, e parecchi giuristi di prestigio (Vassalli, Lanchester, Patrono e Ainis). La Bernardini accusa di «distrazione» il presidente del Senato, Franco Marini, e parla sarcasticamente di «distrazione di un bene fondamentale».
All’ultima sollecitazione inviata per lettera da Capezzone, il presidente Marini ha risposto assicurando che «la protesta della Rosa nel pugno non è stata affatto trascurata» e che la questione sarà affrontata «in un tempo ragionevolmente breve», appena conclusa l’operazione di riconteggio delle schede elettorali. Una risposta «fortemente indeterminata», secondo Capezzone, che non comprende «per quale ragione il riconteggio delle schede dovrebbe avere rilievo rispetto a casi, come il Piemonte, in cui non vi è nulla da riconteggiare».


«Lavoriamo a ritmi serrati», si difendono i componenti della giunta delle elezioni di Palazzo Madama, che prevedono di dare soluzione «a una vicenda molto complessa dal punto di vista tecnico e giuridico» comunque «entro un anno dalle elezioni, secondo la regola tacita che ci siamo dati». Dunque, tra fine aprile e maggio. Con buona pace dei Radicale, stanchi di attendere invano.

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