L'America degli anni Cinquanta vista da uno “ragazzo” di 35 e ricordata da un “vecchio” signore di 86. Nello stesso tempo un triplice viaggio: un viaggio in un mondo “nuovo”, un viaggio della memoria e un viaggio sentimentale (poiché inizia e si conclude con un abbraccio, seppure a due donne diverse...). È un piccolo libro ma bellissimo, quello che raccoglie le «impressioni» americane, di oltre mezzo secolo fa, di Raffaele La Capria: America 1957, a sentimental journey (nottetempo, pagg. 72, euro 7). In quell'estate del 1957 Raffaele La Capria - che aveva esordito qualche anno prima, nel '52, con il romanzo Un giorno d'impazienza ma che solo con il suo secondo libro, Ferito a morte, uscito nel '61 e che gli valse il Premio Strega, entrò di diritto nel gotha della letteratura italiana - è invitato dall'Università di Harvard a partecipare all'«International Seminar», una borsa di studio per un soggiorno di tre mesi destinata agli studenti di vari Paesi che si fossero distinti nei diversi campi della Letteratura e delle Scienze politiche. Ci andò - pieno di entusiasmi, di curiosità e in crisi sentimentale con la moglie - in compagnia dell'amico Giovanni Urbani (futuro direttore dell'Istituto del Restauro di Roma): sei giorni di crociera - «Come fu bello quel viaggio! Sulla nave si sentiva di continuo la musica di My Fair Lady, un'operetta molto sentimentale molto in voga» - e poi l'approdo nell'America di Mc Carthy e del liberale Henry Kissinger all'epoca direttore ad Harvard. Prima il corso obbligatorio all'Università, poi New York per una settimana (in un'estate caldissima mentre furoreggiava l'Action Painting ed erano già di moda il ristorantini del Village), quindi in autobus fino a Boston (durante il quale il giovane e stupito La Capria capisce il concetto di «distanza» nell'America degli spazi sconfinati); e c'è anche tempo per una domenica d'agosto a Ipswich (la spiaggia di Boston, benché distante più di due ore di macchina...), dove davvero lo scrittore, meglio che in qualunque altro posto, scopre lo spirito degli americani e il loro modo di vita, the way of life..., fra l'onnipresente Coca Cola, gli hot dog che anticipano il junk food, l'occhio vigile del puritanesimo che “censura” anche i baci in spiaggia, l'educazione di un popolo che fa sparire i rifiuti del lunch per non sporcare la sabbia di un mare purtroppo «senza mito, senza storia». Perché è anche vero che “La civiltà di un popolo si misura dalla sua cucina”, come ha scritto Eliot, ma anche «dalla rapidità con cui fa scomparire cartacce, scatolette vuote, bottiglie e altri rifiuti del genere». I drive-in, la vastità degli spazi e la rete infinita di autostrade che cerca di imbrigliarlo, le funeral home con le loro bare che costano quanto una Cadillac (è il capitolo più divertente del “diario” di La Capria, nel quale emerge il «fondamentale ottimismo dello standard americano» che non ammettendo la morte, e non potendola negare del tutto, è imbattibile nel mascherarla), le prigioni modello come quella del Massachusetts: sono alcune delle tappe di questo anomalo viaggio che svela un Paese così distante dal nostro (soprattutto 60 anni fa) attraverso miti “eterni” (la strada, il rock) e i personaggi “quotidiani” (la vecchietta col cappellino rosa...). Con lo humour e la leggerezza della sua anima partenopea, “don” Raffaele racconta la nascita di un'egemonia culturale, di un sistema di valori pronti ad attraversare l'Atlantico per approdare in un vecchio mondo ancora segnato dalla Seconda Guerra Mondiale e incapace di costruire un suo nuovo equilibrio.
Poi il ritorno, con una scoperta “sensazionale”: quella su cosa sia il Mediterraneo e quale fortuna possa essere nascere sulle sue rive. «E dopo la sosta a Algesiras, quando la nave la raggiunse, anche la mia città mi apparve sotto una nuova luce».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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