Ragazzo kamikaze fa strage a Tel Aviv: 10 morti e 60 feriti

Si è fatto saltare davanti a un ristorantino, già preso di mira da un altro terrorista suicida. La rivendicazione delle Brigate al Aqsa e della Jihad islamica. Raid israeliano a Gaza

Guido Mattioni

Sami Salim Mohammed aveva gli occhi neri e sembrava un ragazzo. Ma davanti alla videocamera, nel lasciare il suo folle testamento digitale di kamikaze del terzo millennio, non ha tremato. «Ci sono altri futuri martiri, che Dio lo voglia - ha scandito fissando l’obiettivo e qualificandosi come «figlio» delle Brigate Quds, ala militare della Jihad islamica -. Io do me stesso per la salvezza di Dio». Poi ha preso con sé una borsa, è uscito dalla sua abitazione di Qabatia, nei pressi di Jenin, in Cisgiordania, ed è salito su un pullman. Biglietto di sola andata, destinazione Tel Aviv.
Più tardi, era l’1.40 di ieri pomeriggio, lo scoppio. Poche ore prima dell’insediamento del nuovo Parlamento israeliano. L’esplosione è stata terribile, violentissima e assassina. E sull’asfalto, davanti al Rosh Hair Felafel, un ristorantino di cibo tradizionale accanto alla vecchia stazione degli autobus, nel quartiere popolare di Neve Shaanan, particolarmente affollato in questi giorni festivi della Pasqua ebraica, sono rimasti soltanto i pezzi, i brandelli di quelle che fino a un attimo prima erano nove persone, nove esseri viventi. Dieci, con l’attentatore. E tutto intorno, crivellati da una pioggia di schegge di vetro e distesi in pozze di sangue sempre più grandi, i corpi di una sessantina tra uomini, donne e bambini rimasti feriti da Sami, il ragazzino dagli occhi scuri che qualcuno aveva convinto, così facendo, di «salvare» il suo Dio. «Aveva 21 anni», dicono i suoi familiari. «No, 16», sostengono gli israeliani, che in serata hanno arrestato tre palestinesi, sospettati di avere condotto Sami sul luogo dell’attentato.
Stando alle dichiarazioni di alcuni testimoni oculari, come il tassista Mussa al-Zidal, il giovane terrorista era stato fermato sulla porta del ristorante da una guardia armata, che gli aveva chiesto di poter controllare il contenuto della borsa che portava con sé. «L’agente aveva appena iniziato ad aprirla quando c’è stato un immenso boato», ha raccontato con ancora la paura negli occhi il tassista Mussa al-Zidal, che era parcheggiato poco lontano, in attesa di clienti. «Stavo entrando in automobile quando ho sentito questa enorme esplosione - ha aggiunto la signora Sonia Levy, che si trovava a circa 50 metri dal ristorante -. Un brandello di carne umana è caduto sulla macchina e ho iniziato a urlare».
Non ce l’ha invece fatta, a urlare, la donna che al momento dello scoppio si trovava con il marito e i figli davanti al ristorantino di Felafel, proprio lo stesso al cui interno, nel gennaio scorso, un altro attentato suicida aveva provocato «solo» il ferimento di una quindicina di persone. La sua vita è finita prima, in quello che doveva essere un pomeriggio di serenità da trascorrere con i suoi cari. «Il padre è rimasto traumatizzato, e pur se leggermente ferito e in visibile stato di choc, è corso subito a mettere in salvo i bambini che gridavano e piangevano “Mamma, mamma”, chini sul corpo straziato della donna», ha riferito Israel Yaakov, un altro testimone di quell’orrore.
Poi, sul sangue e sull’orrore, è arrivata puntuale come sempre la rituale e odiosa burocrazia dell’odio: la rivendicazione. Duplice. La prima, fatta da un sedicente membro delle Brigate dei martiri di al-Aqsa, l’ala armata della fazione Fatah del presidente palestinese Abu Mazen, che in una telefonata all’agenzia Reuters ha detto che così erano stati vendicati «i massacri israeliani compiuti contro il nostro popolo a Gaza». La seconda, drammaticamente quella più attendibile, è consistita invece nella messa in onda del video del giovane suicida fatto pervenire dalla Jihad islamica alla televisione al Arabiya.
E se Abu Mazen si è precipitato a condannare l’attentato, il portavoce del governo di Hamas, Sami Abu Zuhri, lo ha invece giustificato. Dichiarando che «il nostro popolo è in stato di autodifesa: ha diritto di usare tutti i mezzi per difendersi». Immediata la reazione di Israele.

Aerei di Tel Aviv hanno colpito un’officina di Gaza dove si sospetta stessero costruendo razzi Qassam, mentre il ministro della difesa Shaul Mofaz ha proposto di isolare la parte settentrionale della Cisgiordania dal resto della regione. Mofaz vuole così impedire ai palestinesi di spostarsi tra le zone di Jenin e Tulkarem, da dove proveniva il kamikaze e le città di Nablus e Ramallah, più a sud.

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