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Rai, il Giornale apre una crepa nel Palazzo

Dalla Lega al Pdl a quotidiani come la Stampa e il democratico Riformista: tanti condividono la nostra battaglia. Pure Beppe Grillo. Il popolo anticanone: "Un furto". Se volete aderire scrivete al direttore Vittorio Feltri. Scaricate e stampate il modulo da spedire alla Rai per la disdetta dell'abbonamento

Rai, il Giornale apre una crepa nel Palazzo

Roma - Crepa dopo crepa, il fronte del «no» s’allarga. E nel Palazzo, così come su alcuni giornali finora (forse) un po’ scettici - vedi La Stampa e il Riformista - ci si interroga adesso davvero sulla proposta di abolire il canone Rai. Senza contare che a benedire l’iniziativa, un po’ a sorpresa, arriva pure Beppe Grillo. Già, proprio lui, pronto però a rivendicarne la paternità e a denunciare un plagio: «Hanno copiato il blog» che avrebbe «già raccolto 223.939 adesioni».

Ma tant’è. A rilanciare la questione, aperta dal Giornale, è innanzitutto la Lega, che ieri - oltre alla proposta di legge ripresentata ad ogni legislatura - ha portato in Aula anche un ordine del giorno ad hoc. «Abolire il canone Rai, nonché la relativa tassa di concessione governativa, definendo una forma alternativa di finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo secondo criteri di equità, efficacia ed appropriatezza», è lo scopo del documento, firmato da Davide Caparini, segretario di presidenza in Commissione vigilanza Rai. Per il deputato, infatti, «si tratta di una tassa che non ha più motivo di esistere per diverse ragioni». Primo: «È antiquata, perché istituita nel 1938, quando ancora non era nata la televisione». Secondo: «È iniqua e profondamente ingiusta, sia territorialmente che socialmente». Terzo: il maggiore pluralismo e l’avvento delle nuove tecnologie «rendono il canone un balzello ulteriormente privo di senso».

Ma non vi è solo il simbolo del Carroccio sui testi depositati in Parlamento. Due, infatti, le proposte targate Pdl, che non contemplano però la cancellazione della tassa. A Montecitorio, Manlio Contento chiede l’esenzione solo per i pensionati con reddito annuo non superiore ai 7mila euro, o con reddito cumulato a quello del coniuge non superiore a 11mila e 500 euro. A Palazzo Madama, invece, il disegno di legge che vede primo firmatario Alessio Butti contempla «ridotte sanzioni pecuniarie per i mancati versamenti del passato» ed una limatura verso il basso della quota, per «incentivare ulteriormente il pagamento, attraverso la previsione di una distribuzione sulla fiscalità generale».

E se il governo, ribadisce Paolo Romani, «è assolutamente contrario alla campagna» contro il canone, è anche vero che lo stesso viceministro alle Comunicazioni si dice convinto dell’opportunità di «studiare correttivi legislativi che consentano di pagare tutti e forse anche pagare un pochino di meno». Un’ipotesi per cui Romani si augura possa innestarsi «un percorso parlamentare condiviso».
Crepe, dicevamo, anche sul versante quotidiani. Lo testimonia Massimo Gramellini, che ieri, sulla Stampa, attaccava così: «Molti lettori mi chiedono di aderire alla campagna del Giornale contro il canone Rai. Vittorio Feltri ha ragione, sostengono, non se ne può più di sovvenzionare col nostro denaro Porta a porta e il Tg1». Così, chi dà il Buongiorno in prima pagina, s’interroga sull’ipotesi di trasformare il balzello da «tassa di possesso a tassa d’uso»: una sorta di «pay-per-view a prezzi popolari». In ogni caso, con le dovute eccezioni, «più ci penso e più mi convinco che Feltri abbia ragione».
«Finalmente una cosa di sinistra», è il titolo dell’editoriale di Antonio Polito. «Nel gran casino italiano, può capitare che la cosiddetta stampa di destra dica una cosa di sinistra», scrive il direttore del Riformista, «se per questo si intende una cosa giusta, equa e moderna». Il canone, rimarca Polito, «è un residuo di un’altra era geologica» e «trovo stupefacente che né l’Antitrust né l’Unione europea siano ancora intervenuti a dichiararlo illegittimo».

Abolirlo, dunque, sarebbe «moderno», ma anche «giusto» - visto che «il servizio pubblico, in Rai, non esiste più» - e «rivoluzionario».

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