La guerra continua, anche se è cambiato il campo di battaglia. La diatriba giudiziaria fra Primocanale e la Rai, che va avanti dal 2005, si sposta infatti dai confini nazionali per approdare alla Corte di giustizia europea, che avrà 18 mesi di tempo per esprimersi sulla questione.
Partiamo dalle origini: due anni fa lemittente locale di Maurizio Rossi mandò in onda uno spot che metteva a raffronto il tempo dedicato al servizio di pubblica informazione da Primocanale e dalla Rai regionale. «Noi non abbiamo i minuti contati», era lo slogan della campagna pubblicitaria, con i dati sullo schermo a mettere in imbarazzo la tv di stato: non cè partita, 13 ore contro 48 miseri minuti. E allora, «chi svolge veramente un pubblico servizio?», era la domanda neanche tanto implicita che veniva rivolta agli spettatori. Solo che ai dirigenti Rai la trovata di Rossi non era piaciuta per niente. Scattò la querela, con tanto di causa in cui la tv pubblica accusava Primocanale di «concorrenza sleale» e chiedeva un risarcimento di un milione di euro per la «pubblicità comparativa». La tv locale reagì chiedendo la sospensione del giudizio nazionale, il rinvio degli atti allEuropa e formulando una «domanda riconvenzionale». In sostanza Primocanale rivoltò la stessa accusa di «concorrenza sleale» al mittente, alzando la posta davanti alla Corte di giustizia sulla legittimità della concessione, regione per regione, alla Rai dellesclusività sullinformazione pubblica. Una tattica da partita di poker. Il tribunale di Genova ha infine accolto il 16 giugno scorso i profili di rilievo comunitario sollevati dallemittente ligure, spostando la vicenda sui tavoli dei giudici europei.
Ieri i vertici di Primocanale si sono ritrovati a Milano per fare il punto della situazione. Maurizio Rossi ha tracciato il piano di battaglia, esponendolo con lausilio dellavvocato Giuseppe Giacomini e del direttore di rete Mario Paternostro. «Urge fare chiarezza sul mondo delle tv locali - ha esordito limprenditore televisivo -, evidenziando come il servizio pubblico blocchi la loro crescita e lampliamento del mercato». Il perché della tesi di Rossi sta nellobbligo, previsto dal Testo unico, da parte delle Regioni di cedere lesclusività dellinformazione pubblica solo alla tv di stato, che percepisce già laiuto di Stato (il canone) e non dovrebbe godere di altri vantaggi. «Ciò che chiediamo, invece, è che ogni Regione sia libera di indire un bando e premiare chi più lo merita con le concessioni.
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