Cristiano Gatti
nostro inviato a Sanremo
A volte basta un cucchiaio di Totti per ribaltare il risultato di una partita. Il mutuato più assistito dItalia viene subito convocato durgenza dalla moglie, su implorazione di Panariello e della Rai intera, per salvare persino Sanremo. Anche un osso rotto può fare brodo. Anche il rottame venerato di un campione può portare a casa qualche punto di audience, almeno nel circondario tra Ladispoli e Grottaferrata. Conciato comè, il Pupone butta in campo tutto quello che gli resta: la bella storia di famiglia, il martirio del campione perseguitato, il derby appena vinto e le ansie azzurre per il Mondiale...
«Guarda che bel pubblico», dice Pan a Ilary Blasi. Lei finge di guardare, lei finge di vedere la sorella in sala, lei finge di riconoscere il marito lì accanto. Oddio, ma no, e via con il patetico armamentario della Carrambata, come se non si sapesse che erano stati tutto il pomeriggio insieme nellalbergo. Che si deve fare: nel nome di Sanremo, bisogna piangerci sopra e andare con lintervistona tipo Maurizio Costanzo. Nove autori (e sottolineo nove) per domande come questa: «Quando Christian fa la cacca, lo cambi tu o chiedi il cambio dalla panchina?», oppure, «Hai detto di voler scodellare cinque figli: non è che punti a fare una squadra di calcetto?». «Che ti ha detto il presidente del Milan quando è venuto a trovarti?» (fischi in galleria, ormai uno sport nazionale). A concludere, vai con la canzone dellinnamoramento (Questo piccolo grande amore), idillio che cede un attimo quando lemozionata Ilary svela che le sudano i piedi. Il senso dellintera operazione? Diciamolo con una punta di mestizia: è solo il secondo giorno, ma siamo già alla carta della disperazione.
Del resto lo stesso Panariello, chiedendo subito pietà allindomani della tremenda bancata dellinaugurazione, si esprime un po come Schumacher nelle prove libere di Fiorano: devo conoscere la macchina, dobbiamo trovare lassetto migliore, lavoreremo per migliorare. Le modifiche apportate dopo il primo rientro ai box non appaiono però tali da sconvolgere. Il suo secondo monologo non è molto meglio del primo: se quello era da due risicato, questo barcolla sul quattro. Tema, la par condicio. Il comico - che dice però di non essere qui per far ridere, vai a sapere - immagina un mondo tutto quanto in preda alla spietata regola elettorale. Come? Senza cartelli stradali che indicano centro, destra o sinistra, con le spese che vanno fatte un po sul marciapiede di destra e un po su quello di sinistra. Livello: asilo infantile. O bocciofila di Brembate Sotto. Le più accettabili? «In pizzeria non si può più ordinare la margherita: bisogna chiedere una coalizione di sinistra senza acciughe», oppure «Per i politici è par condicio, per noi è un par di...». Poco altro. Molto poco. Troppo poco. Poi bisogna pure aggiungerci la prestazione sempre più puerile di Victoria Cabella. La sua intelligenza e la sua ironia, che nel progetto globale dovrebbero distinguerla nettamente dal mondo un po idiotone delle bellezze scosciate, si esprime con cose del tipo levarsi le scarpe perché fanno male i piedi. Argutissima. Soprattutto, nuovissima. Se la Iena non si sbriga a risollevare la media, rischia seriamente di passare alla storia di Sanremo solo per lunica, vera, inconfondibile caratteristica personale finora chiaramente espressa: la voce da Scaramacai (cfr. Sandra Mondaini, anni Venti).
Il resto è Faletti in platea, Cocciante premiato, un po di generone vario. Andrebbero raccontati come colpi del secolo gli arrivi dei due baby-cantanti americani Hilary Duff e Jesse McCartney, se non fosse che la loro età complessiva - 35 anni in due - è molto aldisotto di quella dello spettatore medio sanremese. In Riviera ne stanno ancora cercando uno che sappia chi sono.
Inutili stupirsi, bisogna rassegnarsi.
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