«Bugiardo. Demagogo e bugiardo». «Bugiardo a me? Mentitori e demagoghi siete voi». Un'ora e mezzo di corrida, in diretta su trenta canali televisivi, mentre il Bruno Vespa della situazione cercava di calmare gli animi e di riportare i contendenti dal marciapiede della rissa al salotto del confronto civile. Da una parte il premier socialista José Luis Rodriguez Zapatero, detto «Bambi». Dall'altra il leader del Partito popolare, lo sfidante Mariano Rajoy. Il primo costretto a rinunciare, sotto il fuoco di sbarramento di Rajoy, alla sua soave leggiadria. Il secondo, una specie di mastino che non ha mai mollato il polpaccio dell'avversario. Di fronte, tredici milioni di spettatori che, diranno a cose fatte i sondaggi, si sono divisi sostanzialmente a metà.
Se poi è vero, come sostengono i due principali quotidiani madrileni, che è stato Zapatero a vincere il duello televisivo, ebbene si è trattato di una vittoria conseguita «por la minima», cioè di misura.
La campagna elettorale spagnola (si vota per le politiche il 9 marzo) s'infuoca. E coinvolge, appassionandolo, un elettorato che da 15 anni non assisteva a uno scontro diretto fra i leader dei due principali schieramenti. Si replica il 3 marzo, quando Zapatero e Rajoy spareranno coi loro più grossi calibri concentrandosi prevedibilmente su un tema che stavolta è stato toccato solo marginalmente: quello dei diritti civili, che contrappone aspramente la Chiesa e il mondo cattolico alla galassia laica e radicale che nel matrimonio fra omosessuali, nella procreazione assistita e nel divorzio-lampo (tra l'altro) legge la raggiunta maturità di un Paese che si vuole moderno, molto moderno, anzi modernissimo.
Nella prima parte del dibattito Rajoy ha attaccato a testa bassa sull'economia, in fase di stanca dall'anno scorso, puntando il dito sull'impennata dell'inflazione e della disoccupazione, passando per il costo della vita e dei mutui per la casa. Altro tema caldo, quello delle trattative con i separatisti dell'Eta. Qui Rajoy ha accusato Zapatero di avere «mentito e ingannato gli spagnoli» cercando di modificare il modello dello Stato «trattando con i terroristi». Zapatero ha respinto le accuse sullo stato dell'economia ritorcendo le accuse sul Partito popolare, quanto all'Eta, ricordando come il Pp (che ci perse le elezioni) accusò «sapendo di mentire» i separatisti per le bombe sui treni dell'11 marzo 2004.
Di fronte agli elettori, ai quali ha chiesto altri «quattro anni di tempo», Zapatero ha rivendicato i buoni risultati ottenuti dal suo governo: un quadriennio in cui la Spagna «è diventata l'ottava potenza economica mondiale superando l'Italia per reddito pro capite».
Secondo i sondaggi pubblicati dal quotidiano El Mundo, vicino al Partido popular e da El Pais, che tira la volata al Psoe, il duello si è concluso con un 46 per cento a favore di Zapatero contro un 42 per cento di Rajoy.
Al di là dei sondaggi, chi fra i due è apparso più in difficoltà è stato proprio Zapatero, di cui i telespettatori non hanno apprezzato certe cadute di stile. In evidente difficoltà di fronte alle puntuali contestazioni di Rajoy, Zapatero si è mostrato accigliato e irritabile.
La seconda puntata, si diceva, è in programma il prossimo 3 marzo. Poi la parola passerà agli elettori.
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