«Ha vinto leuro e la credibilità dellUe». Così il premier spagnolo Mariano Rajoy ha commentato il prestito fino a 100 miliardi di euro che lUnione concederà a Madrid e alla sue banche dopo la richiesta formale che sarà presentata allEurogruppo e allEcofin del 21 e del 22 giugno.
E, comè buona prassi politica, Rajoy ha scaricato le responsabilità sul predecessore Zapatero: «Ci sono Paesi che hanno fatto così tre anni fa, anche la Spagna avrebbe dovuto farlo», ha detto. A lasciar ben sperare, però, è linsolita condiscendenza della Germania che, per una volta, ha abbandonato la linea del rigore cedendo alle pressioni dello stesso Rajoy, del presidente francese Hollande e del premier italiano Mario Monti. «Deve essere chiaro a tutti che le banche spagnole, malgrado tutti i loto problemi, non rappresentano un pericolo per la stabilità delleuro», ha ribadito ieri il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble replicando allagenzia di rating Moodys che aveva già tratteggiato uno scenario fosco per Eurolandia.
Ora quindi toccherà ai mercati dare il loro verdetto e le attese sono, tutto sommato, positive. «È una notizia di quelle positive sia per le banche spagnole che per le nostre, quindi è preventivabile che lavvio sia positivo, soprattutto per il settore bancario, anche se, con un paragone calcistico, si può dire che si sia stoppato un attacco ma la partita è ancora lunga con il rebus Grecia ancora sul tavolo», spiega Gianluca Verzelli, vicedirettore centrale di Banca Akros. Insomma, il salvataggio spagnolo dovrebbe incoraggiare gli operatori di Borsa ma per cantare vittoria è troppo presto. «Gli eurobond ora sono più vicini - sottolinea un trader - ma ciò non toglie che la situazione potrebbe peggiorare se la Germania non cambia politica come dimostrato dalla speculazione che ha colpito prima la Grecia poi lIrlanda e poi la Spagna, i prossimi potremmo essere noi».
«Le quotazioni delle banche italiane sono bassissime - aggiunge Verzelli - ma un pretesto per lattacco cè sempre». Ecco, dipende dal pretesto. Secondo uno studio di AlixPartners una speculazione sugli attivi immobiliari, simile a quella sugli istituti iberici, non produrrebbe gli stessi effetti sulle banche italiane. Per un motivo molto semplice, a parte alcune eccezioni come Roma, Milano e le più note località turistiche, il mercato immobiliare italiano è meno sopravvalutato rispetto a quello estero. Quindi, imporre un riallineamento forzoso del valore degli attivi immobiliari in bilancio non causerebbe drammi.
Il discorso cambierebbe se gli attacchi speculativi si concentrassero sul «rischio-Italia» come accaduto nelle scorse settimane (lo spread venerdì ha chiuso a quota 441). Innanzitutto perché i nostri istituti a fine aprile avevano in portafoglio, secondo i dati di Bankitalia, circa 295 miliardi di titoli italiani tra Bot, Btp e Ctz e rappresentano circa il 7% degli attivi, cioè del loro patrimonio (una cifra comparabile con quelle dei concorrenti spagnoli superiore alla media europea oscillante tra il 3 e il 4%). Poco meno di un terzo di quella cifra è in pancia ai due big, Intesa e Unicredit.
La scommessa sul default italiano è un pretesto per colpire tutto il settore finanziario tricolore, come accaduto di recente alle Generali, la grande compagnia assicurative che detiene circa 50 miliardi di obbligazioni del nostro Paese. Ma se questo è un esercizio lecito, seppur detestabile dei mercati finanziari, un discorso diverso è quello relativo ai fondamentali. Anche in questo caso Bankitalia, purtroppo, spiega bene la situazione: a fine aprile su 990 miliardi di prestiti a imprese e famiglie produttrici ben 82,2 miliardi (l8,3%) erano in sofferenza. E la tendenza, causa crisi economica, è allaumento piuttosto che alla diminuzione.
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