Ranieri racconta: «Totti nella Roma è un uomo solo»

Vasta eco a Roma per l’intervista di Ranieri all’Espresso. Si diceva così ai tempi ma anche adesso. Vasta eco di che cosa? Perché Ranieri Claudio, subito emigrato sull’isola della regina dove si sta divertendo come osservatore della premier league, ha detto le cose che molti, tra giornalisti e tifosi, dicevano e scrivevano e opinavano sulla Roma, da Totti a Burdisso, da Pizarro agli americani e al resto della comitiva. Ranieri è colpevole di avere parlato, adesso. Avrebbe dovuto fiatare prima, questa la tesi tipica del nostro repertorio. Ma “prima” Ranieri era un dipendente della Roma, dunque da aziendalista ha cercato di mediare e di rimediare, trovando scarsissimo conforto, anzi percependo l’onda anomala che lo stava sommergendo da ogni dove, dopo i coriandoli della passata stagione. Ovviamente il responsabile del “fallimento” è lui, così come Delneri o Delio Rossi, Lerda o Benitez, tutti tranne Mourinho che, invece, è innocente a prescindere.
Claudio Ranieri ha commesso errori e omissioni, ne è consapevole, sa che in alcune occasioni meglio avrebbe fatto a non utilizzare certi giocatori, meglio avrebbe fatto la società a riportare la disciplina. Le sue dimissioni sono un atto coerente, agevolato da uno stato di benessere che non è un reato, non è una colpa anche se le invidie e le gelosie, per i denari altrui, vanno via come il pane.
Uscito Ranieri è immediatamente scattata l’operazione simpatia per Vincenzo Montella che, dopo l’euforia del brindisi, si ritrova con la stessa emicrania del predecessore perché sono i calciatori a far grande una squadra e non viceversa, come la cultura (si fa per dire) contemporanea impone, non avendo altro da occuparsi se non di kamasutra tattico.

Penso che Ranieri possa trovarsi una sistemazione in Inghilterra, dove, qualcuno lo ha dimenticato, ha ottenuto un secondo posto con il Chelsea di Ken Bates non di Abramovich, consegnando a Mourinho non una squadra da rifondare, come il portoghese ha sostenuto agli astanti milanesi, ma un gruppo che comprendeva Glen Johnson, Terry, Makelele, Lampard, Joe Cole, Wayne Bridge, il nerbo del gioco. Come la Roma di oggi che non è una squadra finita anche se chi stava in piazza Venezia si è poi trasferito in piazzale Loreto.

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