
Salmo, c'è un nuovo disco e pure una nuova identità.
«Pensavo di essere un duro perché il rap ti dà una botta di ego».
Ma?
«A quarant'anni bisogna tirare una riga e capire chi sei. E mi sono reso conto di essere una brava persona».
Qui arrivano le canzoni di Ranch.
«Ranch rende l'idea di un posto sicuro, quello che ho cercato di creare soprattutto nella mia testa».
Togliendosi anche dai social.
«Ci avevo giocato parecchio, ho fatto il deficiente per anni (memorabile la polemica con Salvini - ndr) ma ho capito che sono un freno per la creatività».
Ciò che stupisce di Maurizio Pisciottu detto Salmo, sardo di Olbia, è la schiettezza. Parla senza filtri, è una Polaroid, e ha le idee chiare anche dove magari ci starebbero bene delle ombre. Nell'alluvione rap degli ultimi quindici anni, è uno dei più vincenti e convincenti perché il pubblico se lo è costruito per davvero a suon di dischi riusciti e di concerti veri, con tutti gli sbagli, le esagerazioni da copione e, soprattutto, quella libertà che garantisce una lunga carriera. Salmo è tecnicamente un rapper, ma ha l'attitudine di un hard rocker e questo disco è un altro passo oltre la frontiera del rap visto che in Sincero c'è il rock, in Cartine corte c'è uno spirito quasi blues e in Sangue amaro spunta persino il dimenticato low-fi. Però Ranch è soprattutto un campionario di storie, non necessariamente autobiografiche (basta per fortuna) ma soprattutto evocative e trasversali come quella di Figlio del prete o di Titoli di coda, nel quale riappare Mr Thunder, il potente discografico ora molto meno potente che suona da monito all'industria. In pratica, queste sedici canzoni con relativi sedici video sono il manifesto di un rapper sempre meno rapper che è pronto a diventare altro, magari pure a Sanremo: «Se dovessi andare al Festival a cantare un brano pop o blues nessuno mi direbbe niente», dice. E ha ragione.
Invece c'è chi ci è andato a cantare un brano diverso dal proprio repertorio (ad esempio Tony Effe con Damme 'na mano) e non ha combinato nulla.
«Anche Tony, che è un mio amico, sa che l'esibizione non è stata granché, ma lui è così sincero che mi piace».
Anche il rap italiano le piace?
«Il rap italiano è forte ma una parte di rapper non mi piace. Mi piacciono Kid Yugi e Sayf, negli anni Novanta tutti i rapper scrivevano come lui, io vengo dalla scuola di Fabri Fibra. Altri invece non mi piacciono perché non hanno il coraggio di aprirsi davvero».
Ossia?
«Se sei uno sfigato, dillo. Se lo fai bene, funziona. Invece tanti parlano sempre di altri e non sono sinceri».
Chi lo è?
«Lucio Corsi è una risposta alternativa a quel rap che in Usa ha già rotto le palle. Arriva lui con la sua canzone nella quale dice oh guardate che sono uno sfigato e piace a tutti. La sincerità vince sempre».
A proposito di rap: anche Gino Cecchettin ha chiesto ai rapper di moderare il linguaggio.
«È un tema che riguarda la libera espressione, che deve riguardare tutti, e credo si debba dare meno peso alle parole. Oppure giudicare anche il cinema con lo stesso metro di valutazione. Di certo, se io avessi fatto tutte le cose che ho sentito nelle canzoni rap, ora sarei in galera».
Invece talvolta è quasi cantautore vecchio stile.
«Non volevo fare un disco solo di rap. Ad esempio per Incapace ho messo un microfono alla chitarra e uno alla voce e via così».
È vero che ha rifiutato un milione di euro da X Factor?
«Sì certo. Mi hanno chiamato, ho fatto un provino molto divertente, c'erano i video dei cantanti e io dovevo commentare le loro canzoni. L'ho fatto con un linguaggio tecnico e crudo che a loro è piaciuto. Mi hanno offerto dei soldi, l'ho tirata per le lunghe e ho fatto un po' lo stro... ma poi non ho accettato (al suo posto Sfera Ebbasta - ndr)».
Perché?
«Intanto perché per me i soldi non hanno mai fatto la differenza. E poi perché volevo evitare di mettermi a piangere davanti a un concorrente. Non c'è nulla che mi faccia piangere più della musica, lo giuro».
In giro non c'è molto da ridere.
«Anche in Italia c'è un clima di tensione ma nel disco non ho voluto spingermi troppo sui terreni politici o sociali per non ripetermi».
Però ha recitato nella serie Gangs of Milano di Sky, che è nuda e cruda e
spiega molto da questo punto di vista.«È molto fedele alla realtà perché Milano alla gente fa paura. Io ci ho abitato per tanti anni ma poi mi sono trovato in situazioni molto pericolose e ho deciso di andarmene via».
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